di Stefano Sannino
Si è concluso, con la finale di ieri sera, il periodo dedicato al Festival di Sanremo. Una successione di artisti di diverse generazioni si sono sfidate sul palco dell’Ariston, come ogni anno da settantadue anni, per ottenere il primo posto al Festival della canzone italiana.
Sfida naturalmente non scevra di polemiche, di scandali e di provocazioni che ogni anno rendono questo evento tra i più popolari sui social media e su tutte le reti televisive.
La grande popolarità di Sanremo, oltre naturalmente ai grandissimi nomi della musica italiana che negli anni hanno calcato il palco dell’Ariston, è forse però il prodotto di qualcosa di più profondo e radicato nell’animo umano: la musica stessa.
E se infatti la grande popolarità del Festival non fosse data dagli artisti, ma dalla musica in sé che, una volta all’anno, diventa la protagonista di un mondo che invece normalmente la snobba?
Si, è vero, tutti ascoltiamo la musica. Ma non è forse terribilmente vero che per molti di noi essa non è che il sottofondo che usiamo mentre lavoriamo, stiamo con gli amici o facciamo qualsiasi altra azione quotidiana?
Dopotutto, e questo è innegabile, il ruolo sociale che la musica ha è cambiato notevolmente negli ultimi anni; la musica ha abbandonato i teatri e le sale dei palazzi aristocratici e si è democratizzata, è diventata di tutti. Questa grandissima invenzione dell’uomo è stata, in poche parole, restituita a tutti gli uomini ed è grazie a questa democratizzazione se oggi tutti noi ascoltiamo i nostri brani preferiti mentre andiamo a lavorare o mentre siamo in macchina.
Ma come diceva W. Benjamin per le opere delle arti plastiche, questa democratizzazione della musica ha fatto perdere il senso di sacralità che fino ad un secolo fa la circondava.
Paradossalmente, uscendo dai salotti e diventando una cosa quotidiana, la musica ha finito per perdere il suo valore intrinseco, sacro, quasi divino: ecco perché Sanremo, quasi come se fosse un salotto aristocratico contemporaneo, riesce a tenere milioni di spettatori incollati allo schermo. Tutti vorremmo essere lì, ma nel tempio della musica solo pochi sono ammessi.
Infondo, Sanremo non rappresenta altro che l’incarnazione del più antico paradosso del mondo e cioè che tutti vogliamo ciò che non possiamo avere, ciò che ci è precluso, ciò che ci appare quasi come sacro.
E questa sacralità non è data dunque solamente dalla bravura dei cantanti in gara o dal fatto che il pubblico dell’Ariston sia selezionatissimo, ma anche dallo stesso valore intrinseco che in questo momento dell’anno viene restituito alla musica.
Essa, almeno in questo primo momento dell’anno, non è più il sottofondo di un’azione quotidiana ripetitiva, monotona e noiosa, ma è una vera e propria opera d’arte che crea polemica, scandalo e che fa discutere.
Non dimentichiamoci che la musica è nata proprio per questo; la musica riflette ciò che siamo, dipinge tramite le pennellate del sentimento e dell’emozione ciò che l’essere umano e la società intera vive ogni giorno: cambiamenti sociali, tensioni, paure e preoccupazioni, ma anche sentimenti, dolcezza e speranza sono i veri protagonisti dell’Ariston, accompagnati dall’idillio di un sogno ad occhi aperti, fatto di unicità, abiti sgargianti e gioielli preziosi.
In questo magico quadro che ci viene dato dal tempio della musica, forse le polemiche e le provocazioni dovrebbero davvero passare in secondo piano.