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venerdì, 22 Novembre, 2024

LA GENESI DI UN MAESTRO DELLA FOTOGRAFIA. In cammino. Quinta Parte

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di Alessandro Giugni

 Negli ultimi appuntamenti di questa rubrica abbiamo ripercorso alcune tappe della carriera fotografica di Sebastião Salgado: siamo partiti da un’analisi approfondita dei primi anni della sua vita (clicca qui per leggere il primo episodio); abbiamo, poi, analizzato uno dei suoi più importanti lavori, Africa (clicca qui per leggere il secondo episodio); e, ancora, abbiamo ripercorso la genesi del suo lavoro intitolato La mano dell’uomo (clicca qui per leggere il terzo episodio); infine, abbiamo ripercorso i suoi passi nella miniera della Serra Pelada (clicca qui per leggere il quarto episodio).

Dopo aver concluso la realizzazione de La mano dell’uomo, la prima pubblicazione del quale risale al 1993, Salgado, incoraggiato dalla moglie Lélia, decise di dare vita a un nuovo racconto fotografico.
Ad aver colpito in particolare modo il fotografo brasiliano furono le sempre più consistenti migrazioni di uomini e donne i quali, a partire dalla fine degli anni Ottanta, iniziarono a spostarsi dalle campagne alle città. Un fenomeno, questo, che iniziò a verificarsi con sempre maggiore frequenza in ogni parte del mondo. I dati statistici della prima metà degli anni Novanta del secolo scorso dimostrano come un numero compreso tra le 150 e le 200 milioni di persone annualmente migrarono verso i centri urbani. Tale fenomeno fu da attribuirsi ad una pluralità di fattori tra loro concomitanti e gli uni strettamente collegati agli altri: in primis, le grandi industrie dell’Occidente iniziarono a trovare maggiormente conveniente delocalizzare la produzione nei paesi poveri, così da poter impiegare manodopera a basso costo; in secundis, in conseguenza dei predetti fenomeni di delocalizzazione, in paesi in via di sviluppo sorsero megalopoli con sempre maggiore frequenza; all’interno di questi nuovi spazi urbani, infine, la forbice sociale andò sempre più accentuandosi, venendo, così, in essere situazioni di forte disuguaglianza economica e sociale tra un ridotto nucleo di persone estremamente benestanti e un folto numero di individui costretti a una miseria ben peggiore rispetto a quella che molti di loro avevano conosciuto nelle campagne.

Salgado, di fronte a uno stravolgimento epocale della società per come era stata concepita fino a quel momento, non poté restare indifferente. La condizione di quelle popolazioni migranti, d’altronde, gli era ben nota. Lui stesso anni addietro, insieme alla moglie Lélia, era dovuto fuggire dalla sua terra natia, il Brasile, ripiegando in Francia, un paese questo dove, nel momento in cui le autorità brasiliane si erano rifiutate di rinnovargli il passaporto, era divenuto a tutti gli effetti un rifugiato.
E fu proprio dalla volontà di dare voce a tutti gli emigranti del mondo che nacque In cammino. La realizzazione di questo lavoro richiese a Salgado ben 6 anni di lavoro, durante i quali il fotografo brasiliano poté toccare con mano la disperazione di quella parte di umanità che, in ogni parte del mondo, illusa dalla speranza di un drastico miglioramento delle proprie condizioni economico-sociali, aveva intrapreso un percorso migratorio verso città come Shanghai, Giacarta, Bombay od Hong Kong, luoghi questi dove, però, lo sviluppo esistenziale tanto agognato non riusciva a concretizzarsi.
Salgado riesce, con una delicatezza e una profondità che raramente troviamo nella storia di questo media, a realizzare fotografie di incredibile potenza comunicativa. In cammino racchiude alcune immagini incredibilmente potenti. Possiamo osservare la caoticità della stazione di Churchgate, a Bombay, dove una massa indistinta di figure umane, depersonalizzate grazie a un sapiente uso di tempi di scatto lunghi, si muove in ogni direzione lungo le banchine adiacenti i treni (clicca qui per vederla). Ancora. A Benako, in Tanzania, Salgado condivide per alcuni giorni l’agonia e l’angoscia di quel milione di profughi ruandesi scampati al genocidio del Ruanda, durante il quale si conta che furono uccise più di 500.000 persone. In quel campo profughi, Sebastião riuscì a cogliere un bagliore di speranza in mezzo alla disperazione di chi aveva appena vissuto una tragedia: al centro di una delle fotografie ivi scattate, il sorriso di un bambino in braccio alla madre si erge al di sopra della sofferenza scolpita sui visi di chi li circonda (clicca qui per vederla).

Appuntamento alla prossima settimana per l’ultima parte dello speciale dedicato a Sebastião Salgado.

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