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venerdì, 29 Novembre, 2024

LA PRECARIETÀ DEL LAVORO FEMMINILE: IN ITALIA C’È MOLTO DA FARE

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di Martina Grandori

Estate post pandemia, estate di bilanci, estate difficilissima, dove tutti siamo sull’orlo di un precipizio, purtroppo moltissimo anche le donne. La situazione femminile in Italia fa tremare, fa arrabbiare, fa sentire ancor di più l’Italia un paese antiprogressista.

Partiamo subito con una veloce carrellata su come i mesi di lockdown abbiano fatto aumentare del 73% rispetto allo stesso periodo del 2019 le telefonate al numero verde 1522 fra il 1 marzo ed il 16 aprile. Non è possibile ovviamente attribuire tale incremento esclusivamente ad un aumento delle violenze domestiche, i dati aumentano sicuramente per una presa di coscienza e una conquista di coraggio da parte delle donne nel denunciare i maltrattamenti.

Ma la violenza sulle donne a seguito della pandemia è peggiorata non solo quanto a botte e insulti, è arrivata un’ondata di violenza etica che ha fatto riemergere antiche problematiche di discriminazione fra i sessi. La donna dal lockdown ne è uscita ancora più debole di prima, è emerso quanto la parità di genere di fatto sia ancora qualcosa di molto aleatorio. Una ricerca di Boston Consulting Group ha evidenziato come questi mesi abbiano portato un aumento di circa 79 ore settimanali in più di lavoro, incombenze e mansioni sulle spalle delle donne (pulizie, cucina, scuola a distanza, lavoro, assistenza).

Le donne in questi mesi di arresti domiciliari hanno dovuto lavorare molto di più, ne hanno parlato tutti i media di quanto fosse stressante per la femmina di casa occuparsi di tutto e tutti, oltre a dover lavorare nella fatidica modalità di smart working. Mogli che dall’oggi al domani si sono ritrovate con tutta la famiglia da curare, proprio sì, da curare, da assistere, da seguire a discapito di un non riconoscimento di tanto impegno e tanta fatica. Questo non è un attacco femminista al maschio, questa è una constatazione: la donna ha veramente compiuto magie per riuscire a tenere in piedi il sistema famigliare mettendo in secondo piano tutto l’aspetto lavorativo.

Oggi è dimostrato che l’interconessione, le relazioni sono alla base di una carriera, la chiave del successo, ma se non hai tempo di fare nemmeno una doccia, come si può aver tempo, energia e cervello per dedicarsi alle relazioni? In Italia si è discusso molto di come fosse un “virus gestito al maschile” ovvero si è discusso e criticato quel comitato tecnico scientifico formato in principio da uomini e poi maldestramente aggiustato, riadattato a comitato anche con donne. Ma come? Non sono le donne le registe delle vite delle famiglie italiane e il governo aggiusta il tiro in corso d’opera? Chi si è preoccupato di tutelare la figura femminile che in tempi di pandemia è stata travolta da mille incombenze e mille problematiche? I bonus offerti dal governo, il Family Act, la legge di parità di genere regionale sono tutti piccoli passi, troppo piccoli per un paese che vuol far parte delle grandi potenze mondiali.

La realtà è che il lavoro femminile è assai più precario di quello degli uomini. Nel 2019 37.600 donne hanno lasciato il lavoro alla nascita del primo figlio: la maggior parte delle aziende non è di supporto alle neo mamme e gli asili nido sono proibitivi quando gli stipendi sono bassi. Siamo in ritardo sull’organizzazione del rapporto lavoro-famiglia, le novità introdotte in parlamento sono dei placebo, la sostanza è altra se vogliamo progredire.

Tornando alla pandemia, se ci si pensa, la maggioranza di personale medico e addetti alle casse durante il flagellante periodo era di donne, donne che hanno rischiato la vita. Un esercito rosa che ha lavorato nei contesti più a rischio, donne in trincea dalla mattina alla sera per 1650€ al mese come dichiarato recentemente da un’infermiera del San Paolo di Milano, ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo.

Per carità, in trincea lo sono stati anche anestesisti uomini o gli infermieri, ma comunque resta evidente che la parità di genere da noi sia ancora qualcosa di poco concreto. Per Vittoria Colizza, direttrice di ricerca ISERM (Parigi) si traduce tutto con il gender issue: in Francia le eccellenze, le stanze dei bottoni, i ruoli chiave nelle aziende sono molto più accessibili alle donne, da noi no ed è per questo che Vittoria Colizza dall’Italia se ne è andata.

Altro tema caldo gli stipendi: spesso da noi gli uomini per le stesse mansioni percepiscono uno stipendio più alto. In Inghilterra hanno puntato tutto sulla trasparenza delle buste paga: in questo modo si cerca di contrastare il pay gap fra uomini e donne, perché gli stipendi diventano qualcosa di pubblico.

Per non parlare del lavoro non remunerato che si chiama massaia: colei che come un direttore d’orchestra fa sì che la vita di tutto il nucleo famigliare sia una sinfonia.

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