di Anna Zollo
Anche nella filmografia italiana la pasta ha raccontato un vero simbolo dell’italianità, si passa da Totò in Miseria e nobiltà ad Alberto Sordi in Un americano a Roma – “Maccherone, m’hai provocato e io ti distruggo…” , quindi è ben giustificata l’attenzione dei mass media su questo prodotto.
A volte però l’attenzione si focalizza su questioni futili, si dovrebbe soffermare l’attenzione sul mercato del grano e delle diverse attività delittuose ad esso legato. Non è passato molto tempo da quando le forze di polizia hanno sequestrato camion con grano straniero, o trasportato in modo non sicuro, ma questo a volte passa sottotono si preferisce analizzare un nome di un particolare tipo di pasta o la trafila, se in bronzo o meno, cosa giusta se si dovesse scoprire un’anomalia sia in termini di prezzo che di sicurezza.
Ma cosa rappresenta la pasta per l’Italia? Il mercato dell’export della pasta italiana è molto interessante. In Germania un piatto di pasta su due è prodotto da un pastificio italiano. E’ da sempre il primo sbocco per l’export della pasta italiana: i numeri sono triplicati in 25 anni. Secondo i dati dell’Ismea l’esportazione della pasta ha generato un valore complessivo di 29,4 miliardi di euro, tanto che in Francia più della metà della pasta consumata è italiana. Il consumo di pasta è, infatti, raddoppiato negli ultimi 40 anni e quella italiana finisce in un piatto su due.
Mentre in Gran Bretagna dagli anni Novanta l’export di pasta italiana è quadruplicato. Gli inglesi, hanno modificato le loro abitudini e oggi consumano pasta tutte le settimane.
Anche i paesi dell’est dove la pasta non era un piatto amato è incrementato il consumo. Anche oltre oceano la pasta è sempre più richiesta, e sono aumentate anche le contraffazioni.
Napoli, una delle capitali della pasta, ha nei secoli avuto un rapporto controverso, ma poi si è passati dal popolo dei mangia foglie a quello dei mangia maccheroni.
Il mercato della pasta ha dovuto quindi cambiare il suo modo di porgersi e negli anni ha dovuto anche rispettare alcune regole sulla sua lavorazione. Nel 2018 è stata applicata la norma comunitaria che prevedeva di scrivere sulla etichetta, in modo obbligatorio, l’origine della materia prima per pasta e riso: paese di coltivazione del grano e paese di molitura.
Se da un lato quindi il mercato si è dotato di forti e importanti strumenti per la salute dei consumatori, dall’altro basta poco per poter mettere in ginocchio una importante e nota casa produttrice, l’ultima in ordine di tempo è il pastificio La Molisana, storica azienda, colpevole di aver chiamato alcuni formati di pasta con nomi che potrebbero essere assimilati al fascismo.
Poco importa se La Molisana ha un fatturato di circa 150 milioni di euro e ha consolidato accordi di filiera con oltre 1.450 agricoltori di Molise, Abruzzo, Marche, Lazio e Puglia e con una produzione di oltre 15.000 ettari nelle aree del centro-sud.
Un momento poco felice per la comunicazione italiana, dove si sono ricorse notizie e contro-notizie, tanto da creare un caso, con fautori e detrattori. Molti consumatori hanno deciso di prendere le difese della pasta, conosciuta per la sua qualità, dopo che molti sui social hanno deciso di avviare una campagna denigratoria e chiedendo di boicottare l’azienda, senza però tener conto delle migliaia di famiglie che traggono sostentamento dalla produzione di tale prodotto. Ovviamente la Direzione del pastificio ha ritirato il prodotto sottolineando un errore di marketing.
Resta il fatto che si stava cercando di far fallire una storica azienda per aver chiamato un formato di pasta con un nome poco felice? Sembra essere tornati all’epoca della copertina dell’Espresso “Bevi Napoli e poi muori”, dove centinaia di piccole imprese hanno subito i danni per un’inchiesta che poi finì come una goccia d’acqua nel mare.