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giovedì, 28 Novembre, 2024

La parola di Dio: Le lettere ebraiche ed il loro simbolismo. (I)

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L’alfabeto ebraico costituisce un vero e proprio oggetto di studio, grazie alla grande fama che la Bibbia ha acquisito nei secoli. L’ebraico è infatti proprio la lingua della Bibbia e dunque è, per i credenti, anche la lingua prediletta da Dio.
A prescindere dalla valenza teologica dell’ebraico biblico però, è interessante notare come nei secoli si sia sviluppata una vera e propria letteratura linguistica dalle forti influenze cabalistiche[1] o midrashiche[2].
Da un punto di vista prettamente accademico, la lingua ebraica fa parte di un gruppo linguistico definito semitico nord-occidentale. Questa definizione si riferisce a Genesi 10, 21-31 ed è dunque utilizzata per indicare la lingua parlata dai discendenti di uno dei figli di Noè, Sem.[3]
Le lingue semitiche vengono usualmente divise in due gruppi: orientali (lingue mesopotamiche) e occidentali (Siria, Palestina, Arabia, Etiopia).
Le prime attestazioni di una lingua semitica in un’area nord-occidentale (attuale Palestina) risalgono al II millennio a.C. e sono costituite dalle lingue ugaritiche, amorrea e cananea. Ebraico, fenicio, punico, moabitico et similia sono invece declinazioni diverse di una medesima lingua, come evidenziato dalla struttura e dalla fonetica.
Anche la lingua greca è di origine semitica, tanto che molte consonanti presentano delle forti somiglianze fonetiche con quelle ebraiche.
La lingua ebraica così come la conosciamo oggi è una lingua consonantica, ovverosia carente di ogni tipo di vocale. Le vocali furono aggiunte in epoca molto tarda (VI-VIII secolo d.C.) per una maggiore comodità di lettura del testo biblico.

Le 22 consonanti ebraiche sono quindi intessute nel sostrato culturale del popolo ebreo, essendo state impiegate per la stesura di quello che è considerato essere il testo più sacro di tutti i tempi.
In particolare è il libro dell’Esodo a fornirci un motivo di interpretazione piuttosto interessante: Dio esce infatti dall’incorporeità che lo caratterizza per donare le tavole della legge a Mosé sul monte Sinai.[4] La scrittura della legge, in lingua ebraica, è dunque il mezzo con cui Dio abbandona il suo stato di incorporeità e di ente metafisico per fare il suo ingresso nel nostro mondo. L’alfabeto ebraico non è dunque solamente un alfabeto che possiamo conoscere foneticamente, ma che invece dobbiamo comprendere anche visivamente, essendo il simulacro della divinità che lo utilizza.
Nel corso di questo ciclo di articoli ci occuperemo di analizzare le 22 consonanti dell’alfabeto ebraico, delineando le caratteristiche simboliche e cabalistiche principali, così da avere una maggiore comprensione di quella che è una delle lingue più affascinanti del mondo.

Nome: ALEPH

Valore Ghematrico: 1

Significato: BUE/TORO

La lettera Aleph è la prima consonante dell’alfabeto ebraico e visivamente ricorda la forma di un toro. Toro è infatti proprio il significato di questa lettera. Un commentatore mistico[5] afferma che la lettera Aleph può essere scomposta in tre elementi.Le due virgolette a destra e sinistra non sarebbero altro che due Yod (י) di valore ghematrico complessivo uguale a 20. Ecco quindi che introduciamo una delle caratteristiche più interessanti dell’alfabeto ebraico. Essendo questa una lingua altamente mistica, ogni lettera possiede un proprio valore numerico che, nel complesso di una parola, costituisce un simbolismo fondamentale per la comprensione della stessa. La lettera Aleph possiede però, come detto, due Yod, ciascuna delle quali ha un valore numerico pare a 10. L’asta centrale della Aleph non sarebbe altro che una Waw (ו), di valore numerico uguale a 6.
Il valore complessivo della Aleph sarebbe dunque 26, corrispondente al nome divino. Questo troverebbe conferma anche in un celeberrimo testo cabalista[6] in cui la Aleph viene annoverata quale una delle tre lettere madri impiegate da Dio nella creazione dell’Universo.
Aleph è dunque la lettera dell’equilibrio, impiegata da Elohim per la creazione delle prime tre Sephiroth[7], congiuntamente a Mem (principio femminile) e a Shin (principio maschile).
Foneticamente parlando la Aleph non deve essere confusa con la Alpha greca o la A latina, poiché come detto l’alfabeto ebraico è puramente consonantico. Il suono della Aleph dunque, che pur è andato a perdersi modernamente, è un piccolo colpo di glottide che possiamo sentire anche in italiano tra una vocale ed una consonante.
Aleph è quindi la lettera più silenziosa non solo di tutta la lingua ebraica, ma probabilmente di ogni lingua mai concepita dall’uomo.
Stranamente però, quando in aramaico si vuole dare maggiore enfasi ad una parola le si pospone proprio la Aleph. Lo stesso pronome personale Anokhì (Io) comincia proprio con questa lettera muta. Anokhì è particolarmente rilevante perché è il pronome che Elohim utilizza sul monte Sinai nell’atto di donare la legge scritta.
La Aleph è dunque una lettera quasi muta, ma dall’enorme significato linguistico: essa introduce l’Io (A-dam, ex.) umano e l’Io divino.
In un particolare racconto midrashico, si vedono la Aleph e la Beth avere una disputa circa la loro importanza nella Torah. La Bibbia infatti comincia proprio con la lettera Beth («Bereshit barà Elohim» etc.etc.) e non con la lettera Aleph, come sarebbe invece più logico che fosse. Dio rassicura però la Aleph dicendo che se la Beth è utilizzata per la creazione dell’Universo, la Aleph sarà impiegata proprio nell’espressione dell’alleanza di Dio con l’uomo avvenuta sul Sinai. Inoltre, secondo alcuni esegeti, il fatto che il pronome ebraico Anokhì sia estremamente simile a quello egiziano Anak sarebbe un messaggio di Dio per comunicare al proprio popolo di non aver mai maledetto l’Egitto[8]. La lettera Aleph porta con sé, dunque, non solo un fortissimo messaggio teologico, ma anche una novella di tolleranza inaspettata nell’Antico Testamento.


[1] A.A.V.V., Sepher Yetzirah, qualsiasi edizione

[2] cfr. G. Scholem, Cabala, Edizioni Mediterranee, Roma 1992, pp.94 sgg.

[3] Paolo De Benedetti, L’Alfabeto ebraico, a cura di Gabriella Caramone, Morcelliano, Lavis 2011, p.27


[1] La Cabala, ovvero «Rivelazione» è una disciplina esoterica venutasi a sviluppare in Spagna nel XIII secolo in seno alle comunità ebraiche del luogo. Traendo la sua forza da speculazioni pregresse e dall’immaginifico filosofico greco-romano, la Cabala è stata da allora la principale disciplina esoterica ebraica per l’indagine del divino. Per approfondire cfr. G. Scholem, Cabala, Edizioni Mediterranee, Roma 1992

[2] Per midrash (מדרש) si intende un metodo di esegesi biblica di stampo rabbinico. Il termine viene quindi impiegato per designare anche tutta la letteratura rabbinica di matrice biblica.

[3] G. Deiana, A. Spreafico, Guida allo studio dell’ebraico biblico, Claudiana, Torino 2018, p.3

[4] Paolo de Benedetti, L’Alfabeto ebraico, a cura di G. Caramore, Morcelliana, Lavis 2011

[5] Paolo De Benedetti, L’Alfabeto ebraico, a cura di Gabriella Caramone, Morcelliano, Lavis 2011, p.25

[6] A.A.V.V., Sepher Yetzirah, qualsiasi edizione

[7] cfr. G. Scholem, Cabala, Edizioni Mediterranee, Roma 1992, pp.94 sgg.

[8] Paolo De Benedetti, L’Alfabeto ebraico, a cura di Gabriella Caramone, Morcelliano, Lavis 2011, p.27

di Stefano Sannino

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