di Abbatino
Correva l’anno 2014, alle elezioni europee, il neo nominato Presidente del Consiglio, era al massimo splendore. Il suo partito veleggiava sopra il 40%. Il PD mai aveva raggiunto vette così alte nel consenso. Percepito come partito post ideologico e progressista, riscuoteva consensi mai visti prima, dopo aver trovato un leader giovane, cosiddetto “rottamatore” della vecchia nomenclatura comunista e democristiana di sinistra, che aveva dato origine al partito stesso. Il suo fondatore era un ricordo. Walter Veltroni era uscito di scena da tempo. Dopo le primarie dalle quali usciva vincente, Renzi pugnalava alla schiena Letta, allora Presidente del Consiglio, con una congiura di palazzo che lo metteva fuori gioco. Si sa, il PD è un coacervo di idee, ma togliere uno del PD per mettere un altro del PD, era proprio tipico della DC di oltre un trentennio fa. Insomma, roba da prima repubblica. Ciononostante, l’ascesa dell’enfant prodige della sinistra sembrava inarrestabile. Manie di grandezza, soldi a palate, finanziatori importanti e sponsor autorevoli che benedicevano il nuovo corso renziano, spese pazze e aerei di stato simbolo di un nuovo potere nascente a sinistra. Soldi, money, dinero, tutto alla portata del premier detto a Firenze “il bomba”. Poi la parabola iniziò a scendere: lo scivolone del referendum nel 2016, il crollo nei sondaggi e le dubbie ambiguità sul lavoro più o meno chiaro del padre di Renzi, fino al crollo nel 2018 alle Politiche, e la nuova formazione Italia Viva, che adesso è più morta che viva. Gli ultimi tre anni ad oscillare tra opposizione e governo, e ancora opposizione dentro al governo, fino all’attaccamento finale alla poltrona per non andare a votare e finire spazzati via. In questo si riassume il “rottamatore”, un uomo che poteva cambiare le cose in Italia, poteva cambiare la sinistra, ma ad un certo punto, ha pensato più alla bottega che al paese.