di Stefano Sannino
Nella costellazione delle divinità antiche ve ne è una trascurata, dimenticata e poco conosciuta che, nonostante il poco affetto dimostratogli dagli uomini, ogni anno fa la sua comparsa nella nostra vita: Flora, la dea della primavera. La figura della dea Flora pare avere origini autoctone in Italia e sembra essere stata importata a Roma, come allora era costume comune, da Tito Tazio, sovrano curita e romano che regnò al fianco del ben più celebre Romolo.
Flora era considerata, anticamente, non solo come dea della primavera, ma anche della fioritura e dei cereali, dei vigneti e di tutti gli alberi da frutto e dunque era a tutti gli effetti anche una dea dell’alimentazione e del sostentamento che, attraverso la sua rinascita annuale, permetteva la nascita di tutti quegli alimenti che avrebbero permesso agli uomini di sostentarsi nei mesi successivi a quelli primaverili.
D’altro canto però, vi è un momento preciso della storia romana in cui il destino di Flora sarebbe cambiato per sempre: il 217 a.C.
Con l’inasprirsi dei rapporti tra Roma e Cartagine, infatti, i romani decisero di esportare la statua di Venere sita nel santuario di Erice e che, de facto, costituiva uno dei templi più importanti di tutto il bacino mediterraneo. La famosissima Venere Ericina, naturalmente di derivazione greca, arrivò quindi a Roma e fu posizionata sul Capitolino.
L’importazione di Venere, e poi dunque di Afrodite, all’interno del pantheon romano è stato un vero e proprio momento di rivoluzione per Flora che, nei secoli successivi, sarebbe stata lentamente identificata con questa dea degli altopiani di origine greca, perdendo sempre di più la sua individualità. Sono numerosi, infatti, gli esempi di Veneri ritenute anche dee della primavera, della fioritura e dei raccolti proprio come anticamente lo era la stessa Flora.
Ciò nonostante, lo sguardo rivolto al passato tipico di alcuni artisti rinascimentali, ha fatto sì che la figura di Flora non fosse completamente dimenticata; è l’esempio di Sandro Botticelli che, grazie alla sua opera immortale “La Primavera” ha reso eterna la figura di Flora indiscussa protagonista della composizione artistica.
Quasi tre millenni dopo l’arrivo di Flora sul monte Quirinale, però, ogni anno assistiamo alla sua inconfondibile manifestazione terrena: la Primavera.
La natura, lentamente, si risveglia dal suo torpore invernale e ritorna a quello stato di prosperità di cui l’uomo gode da sempre.
E laddove uno sguardo freddo non vede altro che il frutto della rivoluzione terrestre, l’occhio poetico non può che vedere il miracolo di Flora, dea forse dimenticata, ma mai morta davvero.
E proprio questa è la bellezza delle religioni e della loro storia: la capacità di guardare al mondo non solo come una catena di cause e di effetti, ma anche come piccole manifestazioni miracolose di realtà intangibili.
Anche quest’anno, parafrasando un’usanza anglosassone, “l’Inverno è morto, lunga vita a Flora”.