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domenica, 24 Novembre, 2024

La Nascita della Dea – III

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Eccoci giunti all’ultimo appuntamento della nostra trilogia circa la nascita della figura divina femminile paleolitica e lo sviluppo di tutte le sue accezioni e caratteristiche.
Negli scorsi due articoli, abbiamo seguito le vicende della nascita della Dea Uccello e della Dea Serpente, abbiamo analizzato i loro simboli sacri e l’importanza che queste due figure avevano all’interno delle comunità paleolitiche umane.

Ma perché è tanto importante impostare un discorso di questo tipo sugli albori della Divinità femminile?
Non posso che dare una risposta ovvia quanto importante: la donna, l’archetipo femminile divino, la potenza creatrice e datrice di vita di questa “alterità” con cui l’uomo si è dovuto confrontare, ha permesso lo sviluppo di tutta la società umana. Vi posso garantire che non è un’esagerazione.

Dai primi istanti della sua vita sulla Terra, da quel piccolo barlume di coscienza che ha caratterizzato l’esistenza dei nostri avi, i primi uomini si sono scontrati con una realtà biologica che li differenziava dalle prime donne. Una sorta di differenziazione fisica, emotiva e comportamentale, senza la quale probabilmente non avremmo avuto la stessa evoluzione tecnica, filosofica e più in generale, sapienziale.

È straordinario pensare come nel preciso istante in cui l’uomo si è reso conto che la vita non era altro se non il frutto della gestazione femminile, si sia sviluppata quella che antropologicamente abbiamo analizzato come la prima Divinità probabilmente cultuata dall’uomo. È infatti proprio l’energia creatrice la protagonista della prima religione umana, senza la quale tutte le altre poi non si sarebbero potute sviluppare. Come è evidente dalle speculazioni di alcuni antropologi, tutto il filo rosso che connette il sentire religioso umano, trova il suo estremo più antico nella femminilità. Da questa, si è poi creato quel sentire religioso incentrato sulla mascolinità, ovvero sul suo opposto sessuale. Agli albori, dunque, la mascolinità era compresa nella femminilità, poiché in qualche modo i nostri avi avevano compreso come tutta la vita degli esseri viventi derivasse da un unico, grande grembo materno: quella della Dea Madre.

Ecco allora, che le figure della Dea Uccello e della Dea Serpente, per quanto ci possano apparire lontane nel tempo e nel sentire religioso che invece caratterizza la nostra era, ci danno un importantissimo insegnamento. Paradossalmente, l’uomo nel paleolitico aveva compreso una cosa di cui l’uomo moderno oggi è dimentico, ovverosia la sacralità della donna. Donna, che venne quindi cultuata ed innalzata a Divinità attraverso un processo di astrazione metafisica. Immaginiamo quanto sia stata dirompente una scoperta del genere: la donna alle origini della nostra civiltà aveva assunto un’importanza maggiore dell’uomo. Immaginiamo il tremore che le religioni abramitiche hanno provato quando queste scoperte archeologiche furono fatte nel sito di Çatalhöyük. Religioni che per secoli si erano fondate sul principio mascolino dell’Universo, compresero che invece tutto ciò che diede il “La” alla religiosità umana, fu proprio la donna. Non una donna vergine e santa, bensì una donna gravida dai cui seni sgorgavano fiumi di latte che nutrivano il cosmo intero.

Ma come è potuto accadere, in origine questo cambiamento così profondo del paradigma sociale?
Già intorno al 4500 a.C. secondo gli studi di M. Gimbutas, nelle necropoli situate nel Mar Nero si può parlare di una tendenza patriarcale incipiente, in quanto le tombe sono dedicate in maggior numero a defunti di sesso maschile, spesso sepolti con ricchi corredi funebri di oro, selce o utensili vari. È poi nel 4300 a.C che i ricchi insediamenti che avevano caratterizzato “La civiltà della Dea” vengono abbandonati talvolta spontaneamente, talvolta drasticamente in seguito a scontri armati e distruzione. In questa fase prende sempre più piede l’allevamento, a discapito dell’agricoltura. In particolare, si alleva il cavallo, importato nella zona a cui facciamo riferimento grazie alle ondate Kurgan. Questo animale, di facile addomesticamento è poi lentamente entrato nel linguaggio simbolico di queste popolazioni, venendo associato al mascolino e quindi, in senso ancora più lato, ad una civiltà di tipo patriarcale. Il cambiamento di cui abbiamo parlato, quindi non è semplicemente un cambio di paradigma sociale repentino, ma frutto di conseguenti ondate di invasioni di popoli esterni e di un cambio conseguente di stile di vita da parte dei popoli indigeni, che si sono visti costretti ad abbandonare le loro vecchie abitudini. La stessa Gimbutas però, riferisce che non è possibile parlare di un totale abbandono dei valori e delle figure simboliche della Civiltà della Dea, sebbene poi de facto, il cambiamento da una società matriarcale ad una patriarcale si sia reso evidente in tutto il corso della storia umana. Questa è stata probabilmente una delle scoperte più rivoluzionarie nella Storia delle Religioni e certamente è stata quella che ha cambiato maggiormente il paradigma di Divinità=mascolinità. Con questo,

non sto dicendo che in qualche modo il maschile sia sempre stata l’unica forma di divinità conosciuta, quanto piuttosto che il femminile sia sempre stato percepito come marginale e secondario. I troni della potestà divina sono stati, nel corso di tutta la storia umana, occupati da Deità maschili e mai femminili. In qualche modo l’uomo, nel corso della sua ascesa religiosa si è dimenticato dell’origine della religione stessa. In qualche modo, l’uomo si è concentrato sul desiderio di rivalsa del maschio nei confronti della superiorità creatrice della donna. Ecco allora che il nostro non è affatto un discorso banale e semplice, se inserito nel contesto della nostra attualità. Il maschilismo oggi si esprime attraverso la lingua, la cultura, l’economia, il mondo del lavoro, il mondo accademico, la violenza, lo stalking e l’aggressività. Il femminismo oggi, si esprime con provocazioni, sfide e minacce, ma ha perso quel fondamento quasi metafisico che aveva invece agli albori della nostra società. L’umanità deve riscoprire quel sentimento di gratificazione che proviene dalla vita e dalla potenza creatrice della vulva, del grembo, dell’utero e sopratutto della femminilità tutta, senza perdersi in sovrastrutture sociali che non fanno altro che rispondere alla violenza, con la violenza, alla minaccia con la minaccia, alla sfida con la sfida, in una battaglia di violenza mimetica che non avrà mai fine se non con la distruzione dell’alterità, del diverso, di ciò che non siamo noi.

Stefano Sannino

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