di Stefano Sannino
La figura del designer è innegabilmente cambiata nell’ultimo decennio, anche grazie all’avvento dei social network ed al battesimo dei designer “più giovani” quali celebrità mondiali.
Se infatti dagli anni ’40 fino agli anni ’90 del secolo scorso, gli stilisti lasciavano che fossero i loro lavori a parlare per loro, non esponendosi mai troppo in prima persona davanti alle telecamere, dagli anni 2000 in poi, al contrario, alcuni stilisti hanno cominciato a sperimentare i vantaggi che una fama mondiale avrebbe comportato al loro brand ed alle vendite.
Se pensiamo a allo stilista e imprenditore Michael Kors, ad esempio, è evidente che il suo brand abbia subito un’aumento spropositato di vendite dopo il suo ingresso come giudice di Project Runway, celebre programma televisivo recentemente acquistato da Amazon.com, basato sulla competizione tra stilisti emergenti. D’altro canto, Kors non è certo l’unico ad un usare i media per esporre la sua figura ad un pubblico maggiore di quello che normalmente lo conoscerebbe: Olivier Rousteing, stilista 34enne, direttore creativo di Balmain dal 2011 è una vera e propria star social, apprezzato non solo dai fan del brand, ma sopratutto da coloro che si sono avvicinati al brand perché suoi personali fan.
Documentari, film, serie tv, Instagram e TikTok, tutto viene utilizzato in modo diverso dagli stilisti contemporanei per arrivare più facilmente ai clienti e, sopratutto, per farsi percepire più come esseri umani e meno come artisti strampalati chiusi in se stessi. Questo è senza dubbio il vantaggio di una maggiore esposizione social per i designer, mentre il rovescio della medaglia è sicuramente la perdita della figura quasi mitologica del couturier lo stilista rinchiuso nel suo Atelier, che creava e lasciava che fossero le sue creazioni ad esporsi pubblicamente al suo posto. Pensiamo – per esempio – a Christian Dior, Yves Saint Laurent, Valentino, perfino Gianni Versace: tutti accomunati da una grandissima creatività, ma anche da una grandissima timidezza e mistero intorno alla loro figura, ai tempi del loro boom la visibilità mediatica era praticamente relegata a pochi magazine patinati e alle dive del jet set che diventavano loro muse.
Insomma, che i social abbiano un impatto positivo sulle vendite è innegabile, ma siamo sicuri che uccidere la figura del couturier sia altrettanto positivo, per un mondo che – ricordiamocelo – è sopratutto arte, prima che vendite?