Il rapporto tra il nazismo e l’Islam radicale è un tema poco conosciuto. Molti ignorano del tutto le simpatie di Adolf Hitler per gli islamisti e per la causa palestinese. Questo tema è trattato nel libro “La mezzaluna e la svastica” di David G. Dalin e John F. Rothmann.
La ricerca degli autori verte soprattutto sulla vita e l’operato di Ḥağ ‘Amīn al-Ḥusaynī, il Muftī di Gerusalemme.
Ma chi era Ḥağ ‘Amīn al-Ḥusaynī? Nato a Gerusalemme in una famiglia influente nel 1895, aveva studiato filosofia islamica, senza però completare gli studi. Nel 1913 fece il pellegrinaggio alla Mecca, che gli diede il diritto di usare il titolo “Ḥağ”, e l’anno successivo si arruolò nell’esercito turco divenendo ufficiale. Nel 1918 lo ritroviamo a Gerusalemme, impiegato nell’ufficio di Gabriel Bāšā Haddād, consulente arabo del governatore militare della città.
Profondamente antisemita, al-Ḥusaynī fu arrestato nel 1920 per responsabilità dirette nelle sommosse contro gli ebrei dell’aprile di quell’anno. A salvarlo dal carcere fu, paradossalmente, la nomina di Sir Herbert Samuel (un ebreo) ad Alto Commissario della Palestina. In occasione di tale nomina, Samuel concesse l’amnistia e liberò gran parte dei carcerati. al-Ḥusaynī non fu liberato immediatamente, ma solo dopo sette settimane. La sua liberazione fu, probabilmente, il primo di una lunga serie di errori fatti dall’amministrazione inglese.
L’anno successivo fu nominato Muftī di Gerusalemme, una delle più importanti cariche dell’Islam. Da allora la fama e l’influenza del Muftī crebbe sempre più, come la sua rabbia contro il popolo ebraico.
Negli anni ’20 e ’30 l’operato di al-Ḥusaynī fu una collezione di discorsi di propaganda violenta contro gli ebrei e l’Inghilterra, discorsi che porteranno a sommosse e omicidi. Costretto a fuggire per sottrarsi all’arresto in seguito ai disordini di Nablus del ’36, si rifugiò prima in Iraq e, infine, a Berlino, dove fu accolto dal regime nazista col quale collaborò molto attivamente. Il 28 novembre 1941, il Muftī ebbe uno storico incontro con Adolf Hitler. I due parlarono della situazione del mondo arabo e della Palestina e dei sogni di indipendenza di quei paesi, ma, soprattutto, parlarono del comune obiettivo di eliminazione del popolo ebraico dalla faccia della Terra.
Da quell’incontro in poi la collaborazione di al-Ḥusaynī col regime fu costante e “produttiva”, al punto che molti storici ritengono i suoi consigli determinanti nella scelta di sterminare gli ebrei come “soluzione finale”. Quel che è certo è che l’intervento del Muftī fu determinante in vari casi. Nel 1943 egli accolse con entusiasmo l’idea di Heinrich Himmler di creare un reparto di SS islamiche e partecipò direttamente al reclutamento, recandosi nei Balcani (zona dove sono molti gli abitanti di fede islamica). Con l’aiuto dei capi religiosi locali, riuscì a raccogliere abbastanza volontari e costituì la divisione musulmana delle Waffen-SS. E i risultati non si fecero attendere. Da lui istruita e istigata, la divisione sterminò gli ebrei bosniaci, uccidendone ben dodicimilaseicento su quattordicimila (il 90% circa). Nel frattempo, continuava la sua campagna di propaganda attraverso la radio.
Finita la guerra, al-Ḥusaynī tornò in Medio Oriente e continuò la sua battaglia contro gli ebrei, influenzando con le sue idee gran parte dei capi di stato e dei politici del mondo arabo. Tra i tanti nomi di suoi “allievi” ricordiamo Yāsir Arafāt, che fu per molti anni a capo dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), ‘Anwar al Sādāt e Ğamāl ‘Abdel al-Nāsir, entrambi divenuti presidenti dell’Egitto, Saddām Husayn, dittatore iracheno.
Notevole poi fu la sua influenza sui Fratelli Musulmani, nota organizzazione islamista, con la quale collaborò fin dalla sua fondazione.
Quel che però lo rende davvero un personaggio chiave nella storia è l’aver iniziato la lotta terroristica. Sua è l’idea di usare il terrore e gli attentati come arma di lotta contro l’Occidente e gli ebrei. Il suo odio verso di loro (e contro lo stato di Israele che lui riteneva un cancro maligno da estirpare) era tale da giustificare ogni violenza. Per questo Ḥağ ‘Amīn al-Ḥusaynī è definibile come il padre del moderno terrorismo islamico. Senza di lui forse oggi il mondo sarebbe diverso e non avremmo i vari movimenti jihadisti che affliggono la nostra epoca. L’eredità del Muftī è ancora più che viva. Ancor oggi le sue idee sono sostenute da gran parte del mondo arabo e insegnate nelle scuole di quei paesi. E insieme alle sue idee vengono diffuse le idee del nazismo. Il Mein Kampf è, dopo il Corano, una delle letture preferite dai jihadisti, insieme ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion. A tal proposito, è molto interessante la trattazione dell’approccio ideologico cospiratorio del moderno radicalismo islamico nei confronti degli ebrei e dell’Occidente (che, secondo loro, dagli ebrei sarebbe controllato). I protocolli sono letti e diffusi come narrassero fatti realmente accaduti. Non importa se quel documento infame è stato sbugiardato come invenzione dei servizi segreti zaristi già negli anni ’20. Per gli islamisti essi sono reali e provano il complotto ebraico per il controllo del mondo. Non si tratta di una convinzione di pochi fanatici, ma di un’idea diffusa e sostenuta dal potere. I protocolli sono, infatti, testo di studio in diverse università islamiche e sono citati in continuazione da politici e “intellettuali” islamisti.
L’uso delle notizie false (o “fake news”, come si usa dire oggi) non si limita solo ai protocolli, ma va ben oltre. Di gran moda è la negazione dell’Olocausto nazista. Si va da chi nega totalmente che i lager siano esistiti a chi, invece, sostiene che le vittime siano state molte meno (ognuno ha una cifra diversa). Una cosa, questa, che gli islamisti hanno in comune con le estreme destre europee e americane. Non a caso, quando Maḥmūd Aḥmadinežād (ex presidente iraniano) organizzò una conferenza negazionista, invitò a parlare tutti i maggiori “storici” delle estreme destre occidentali. Alcuni di essi, condannati in patria per le loro tesi false e le loro incitazioni all’odio, sono stati accolti in alcuni stati islamici come eroi perseguitati. È il caso di Wolfgang Fröhlich, ingegnere austriaco autore di un libro che nega l’esistenza delle camere a gas naziste, il quale, invece che affrontare il processo per la negazione dell’Olocausto, è fuggito in Iran nel 2000 dove è stato accolto come amico.
“La mezzaluna e la svastica” è un libro che andrebbe letto da tutti coloro che si interessano alla politica. Dovrebbero leggerlo coloro che sono convinti che le estreme destre siano la soluzione al terrorismo islamico. E dovrebbero leggerlo certi personaggi “di sinistra” che appoggiano in modo del tutto acritico i palestinesi contro Israele, riproponendo spesso e volentieri le bugie antisemite di matrice islamista e nazista. Questo libro potrebbe aprire loro gli occhi su una realtà ben diversa da quella che immaginano.
Anche la politica è spesso troppo accondiscendente e sottovaluta (forse per superficialità, forse per interesse) la pericolosità di certi personaggi. Come accennato in precedenza, fu proprio un ebreo a favorire la carriera di al-Ḥusaynī. Sir Herbert Samuel non si limitò a rimetterlo in libertà. Fu lui a nominarlo Muftī, nonostante i suoi precedenti. E fece carte false per poterlo nominare. Il Muftī doveva essere nominato dall’Alto Commissario della Palestina tra tre candidati eletti dal popolo. al-Ḥusaynī arrivò quarto, il che lo escludeva dalla possibilità di essere nominato. La sua famiglia smosse mari e monti e minacciò rappresaglie. Per timore di eventuali attentati e disordini, Samuel convinse uno dei tre eletti a ritirarsi e nominò poi al-Ḥusaynī Muftī di Gerusalemme. Questo gli diede la possibilità di proseguire la sua battaglia e di contribuire in modo determinante allo sterminio nazista. Se Samuel avesse avuto un po’ più di coraggio, forse le cose sarebbero andate in modo molto diverso. Nominando lui a una delle cariche più importanti e prestigiose dell’Islam, l’Alto Commissario non solo contribuì alla diffusione dell’antisemitismo, ma fece sì che le voci dell’Islam moderato (che erano non poche) fossero messe a tacere. Celebre il caso del re ‘Abdullah di Giordania, moderato e favorevole alla nascita di uno stato ebraico in Palestina (insieme a uno stato arabo), fatto uccidere dal Muftī.
Nonostante le conseguenze tragiche di quelle scelte, la politica di oggi non sembra aver imparato la lezione. Basti pensare che Arafāt, un uomo che lodò Hitler e sostenne la necessità di eliminare gli ebrei fino alla morte, fu insignito del Nobel per la pace! In Italia, poi, certa politica “democratica” sta coccolando gli islamisti, facendo scelte non dissimili da quella di Samuel.
Concludiamo con due piccole critiche. In alcuni punti gli autori si dilungano su cosa il Muftī deve aver pensato e sognato, forse per dare al trattato uno stile più narrativo. Personalmente non amo molto questi stratagemmi stilistici, preferendo una trattazione più formale. Sarebbe stato inoltre interessante approfondire il tema dei rapporti degli islamisti con le attuali estreme destre europee e americane, vista l’importanza del tema per la politica e la società di oggi.
“La mezzaluna e la svastica” di David G. Dalin e John F. Rothmann è un libro caldamente consigliato a chi voglia avere una migliore prospettiva del mondo attuale e della sua storia recente.
Da leggere.
Enrico Proserpio