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martedì, 17 Dicembre, 2024

La legge europea sul ripristino della natura

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Il parlamento europeo, con uno scarto di voti piuttosto piccolo, ha approvato la cosiddetta legge per il ripristino della natura, che si inserisce nel più ampio quadro della transizione ecologica.

Per quanto l’ambiente sia da difendere, dall’Europa giungono direttive che a volte paiono fuori dalla realtà. Ricordiamo solo la direttiva sulle auto che impone il divieto dei motori tradizionali dal 2035 mettendo in difficoltà l’industria automobilistica europea o la direttiva sulla casa che obbligherà a pesanti ristrutturazioni per poter vendere un immobile. Ammettendo la giustezza di tali provvedimenti, rimane il dato reale per cui, per una famiglia media, cambiare un’auto o ristrutturare una casa è un impegno gravoso, e per la maggior parte impossibile. A queste direttive ora si aggiunge quella sul ripristino degli ambienti naturali che impone la rinaturalizzazione di una percentuale significativa del territorio di uno stato con riduzione dei terreni dedicati all’agricoltura.

Una prima assurdità che si può notare in questa norma è che viene approvata con una guerra alle porte. Si potrebbe pensare che le due cose siano slegate, ma non è così. La guerra russa-ucraina ci ha fatto scoprire che le due nazioni in guerra sono fra le più grandi produttrici di cereali e di altre derrate alimentari come l’olio di semi di girasole e che dalle loro esportazioni dipende la sopravvivenza di alcune nazioni africane e parte della produzione alimentare europea. La guerra prima o poi finirà, si spera quanto prima, ma quale logica può esistere in una norma che riduce le superficie agricola europea a fronte delle devastazioni di milioni di ettari di cereali in Ucraina? Non sarebbe logico incentivare la produzione agricola europea per cercare di dipendere di meno dalle importazioni? Quello che si sta cercando di fare con il gas e per i microchip dovrebbe essere fatto anche con la produzione alimentare e invece si fa il contrario. Altra norma riguarda anche i pescatori che vedono la loro attività sempre più vessata, tanto da temere la scomparsa dei pescherecci europei. Di conseguenza si importerà pesce dall’estero di cui non conosciamo l’esatta provenienza e se è stato pescato rispettando le regole europee.

Come per molte altre norme europee fissare degli obiettivi comuni a tutti gli stati rappresenta una sfida impari, considerando le diversità esistenti. L’Italia è un paese intensamente urbanizzato perché ha una densità abitativa fra le più alte in Europa. Se si considera che la Francia che ha più o meno gli stessi abitanti dell’Italia, però con il doppio del territorio, si intuisce come le situazioni siano diverse. Se consideriamo un qualche fiume della Lombardia, è evidente di quanto del loro percorso avvenga in centri abitati e come una rinaturalizzazione possa essere difficile e costosa.

Per altri versi questa norma sembra essere in ritardo rispetto alla realtà perché la sensibilità ecologica è patrimonio comune e le amministrazioni pubbliche sia centrali che locali tendono a preservare tratti di naturali dell’ambiente e a ripristinarli ove possibile.

In Italia la riduzione della superficie agricola sta già avvenendo spontaneamente con lo spopolamento dei piccoli comuni montani. Chi fa un giro in montagna che siano Alpi o Appennini si rende conto di come piccoli borghi una volta abitati, ora tendono a non essere più abitati e pertanto zone che prima erano dedicati all’agricoltura o all’allevamento vengono abbandonate e ritornano boschive. In alcune zone interne si rischia la scomparsa dell’uomo e una trasformazione del contesto naturale in cui diventerà sempre più difficile inoltrarsi.

La natura, come insegna Leopardi, è matrigna e va in qualche modo curata affinché non diventi un pericolo per uomo. Una norma siffatta che consideri l’agricoltura un nemico non è propriamente una norma intelligente. Dove arriva l’agricoltore, lì può arrivare l’uomo in genere, mentre quando l’agricoltura indietreggia, si ritira anche l’uomo da quella zona.

Un’ultima considerazione riguarda l’agricoltura intensiva con fitofarmaci e concimi. Può sembrare poco naturale, ma attualmente è l’unica che riesce a garantire la produzione necessaria a sfamare miliardi di persone senza utilizzare tutto il territorio. Più aumenta la resa per ettaro, meno terra sarà necessaria per l’agricoltura per produrre il cibo necessario per il sostentamento umano. Si spera che nei successivi passaggi legislativi la legge venga emendata rendendola più aderente alla realtà.

di Vito Foschi

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