1. Il mito come esperienza di vita
Il difficile mestiere (dal latino ministerium, servizio, servitore) del vivere si può compiutamente imparare solo armonizzando le esigenze logico-razionali con la componente spirituale, emotiva e creativa.
Per questo, sin dal suo venire alla luce, ogni essere vivente, di per sé individuo indivisibile e separato dal resto del mondo, cura la sopravvivenza affidandola al proprio ego identitario.
Di conseguenza, ciascuno a suo modo e quale “animale sociale” cerca di adattarsi al contesto naturale e artificiale che lo circonda, e quindi si organizza per integrarsi nella comunità dei suoi simili attraverso lo scambio del sapere teorico e l’esperienza pratica.
Essendo però anche “persona” (dall’etrusco, maschera), l’essere umano – per conquistare il livello di pari dignità – è interessato a smascherarsi per rappresentare all’esterno ciò che si agita nel proprio complicato laboratorio interiore.
Ciò al fine di consolidare la dimensione relazionale con gli altri, recitando la propria parte di attore sul palcoscenico della vita.
Questo atto di amore richiede anzitutto lo sforzo di scandagliare e approfondire la conoscenza di sé come ancora consiglia la massima “gnothi seautón” (conosci te stesso) inscritta sul fronte del tempio di Apollo a Delfi.
Tuttavia, per quanto possa essere evoluto e riflessivo, l’uomo della modernità avanzata si vede costretto a convivere in una quotidianità indaffarata e poco ospitale, per non dire conflittuale, come in modo diverso si verificava anche nel passato. Ci troviamo pertanto un po’ tutti immersi e intrappolati in una civiltà imbarbarita dalla disgregazione delle reti di solidarietà sociale. Le quali, a loro volta, sono asservite agli imperativi della logica di mercato, della razionalità tecnica e della comunicazione superficiale, spesso aggressiva e violenta.
Pertanto, per superare il permanente destino di scontro tra l’io e il noi, ossia tra la solitudine e la fratellanza, la stessa cultura greca aveva puntato molto sulla forza evocativa del mito (favola, racconto). Uno strumento culturale ritenuto a ragione capace di sintetizzare e di raccontare, in forma favolistica e allegorica, l’intricata relazione tra il bene e il male. È infatti noto che il racconto aiuta a conoscere e ad amare l’esperienza della vita universale e individuale, collegando la memoria del passato con il presente, nel perenne replicarsi della storia.
Allo stesso modo, sul versante etico-morale le paraboledei Vangeli raccontano e raccomandano, con la suggestione di esempi facilmente comprensibili, i valori religiosi e le finalità ultime della nostra precaria esistenza.
2. Il mito è ancora utile?
I sopra citati richiami sono peraltro comprovati dal fatto che, pur essendosi ormai spenti i fari dei grandi ideali, gli stessi bambini nativi digitali cercano di soddisfare la loro istintiva curiosità ascoltando con stupore le fiabe raccontate dalla mamma; imparando così, attraverso un linguaggio semplice e genuino, a distinguere la realtà dalla fantasia.
E quindi a dominare le paure, i pregiudizi e le convenzionicon cui i grandi ostacolano la loro libera crescita, inibendoli nel contempo ad affrontare con coraggio le difficoltà e le sfide della vita.
Altrettanto dovrebbe inoltre verificarsi nei confusi attuali contesti di famiglia e nella male in arnese arena della scuola: istituzioni entrambe deputate – sulla carta! – a educare e a insegnare ai ragazzi in primis l’impegno adevadere dalla buia prigione dell’ignoranza (vedi il noto mito della caverna raccontato da Socrate al discepolo Platone).
Infine, quanta attenzione gli adulti (sedotti da ben altro e contagiati in particolare dall’idolatria del denaro) riservano oggi al mito?
La risposta, al riguardo, risulta ancor più complicata dal fatto che, come per la storia del passato e ancora a maggior ragione oggi, il racconto dell’attualità dominata dal mondo virtuale risulta sempre più lontano dal vero; ciòin quanto le notizie sono riportate e diffuse in base alla virtù della memoria, comunque affidata a narrative di parte.
Nasce da qui una persistente importanza di recuperare e coltivare, in ogni fascia di età, il mito inteso come forza orientata alla sostanza delle cose e perciò educativa, informativa e formativa.
Appare allora determinante la ricerca di un modus vivendi, capace di inglobare la retorica manipolatoria della civiltà artificiale nel perimetro dei bisogni valoriali di crescita e di progresso. Anche al fine di evitare, per il futuro, il predominio di scalcagnati spocchiosi cavernicoli, che si affacciano all’orizzonte privi di consapevolezza logica, etica e creativa.
Soggetti pertanto inadatti a realizzare, con un uso saggio e calibrato delle nuove tecnologie, una umanità aumentata; capace cioè di assicurare l’equilibrio tra i principi di libertà e giustizia e tra la verità e il falso, nel quadro del sempre più necessario primato dell’uomo.
Appunto quello invano cercato dal filosofo greco Diogene, detto il Cinico (412-323 a.C.), che fu visto un giorno per le vie di Atene, in pieno mezzogiorno, camminare con una lanterna in mano dicendo: “Cerco un uomo”.
Dott. Benito Melchionna
Procuratore emerito della Repubblica