di Stefano Sannino
Concludendo il nostro viaggio nella filosofia ebraica, non possiamo non dedicare almeno una parte di questo ciclo di articoli alla Cabala o Qabbalah (ci sono, di fatti, diversi modi di translitterare questa parola dall’ebraico), scienza teosofica per antonomasia che, grazie alle sue speculazioni ed interpretazioni è riuscita a creare, a partire dal XII-XIII secolo d.C., un vero e proprio nuovo orizzonte esegetico per tutta la cultura ebraica.
Il termine Qabbalah significa letteralmente “tradizione” e designa quell’insieme di dottrine rabbiniche, e non, venutesi a sviluppare nel Basso Medioevo in seno alle principali comunità ebraiche del Mediterraneo e dell’Europa.
Tutte le dottrine cabalistiche sono condensate in e rappresentate da Il libro dello Zohar o Libro dello Splendore scritto, secondo l’ipotesi più accreditata, intorno al 1275 in Spagna.
Lo Zohar è un fulgido esempio di letteratura teosofica: ai tradizionali inni religiosi accompagna, infatti, alcune delle teorie filosofico-teosofiche più rivoluzionare del pensiero; il concetto delle dieci Sephirot, per esempio, viene introdotto in questo testo con una quasi inquietante precisione, accompagnato dalle teorie delle emanazioni di Dio e dei suoi attributi principali.
In poche parole, quello che doveva essere un commento al Pentateuco è divenuto, grazie alla sua semplicità e profondità, uno dei capisaldi di tutta l’interpretazione teologica, riuscendo a rimanere annoverato anche modernamente tra le colonne portanti della letteratura mondiale in materia di teosofia e filosofia.
Il testo è scritto in un aramaico maccheronico, sicuramente prova dell’ampio utilizzo che la comunità ebraica faceva della lingua araba in epoca medioevale (qui per approfondire: https://www.lacritica.org/la-filosofia-ebraica-2-il-medioevo-ed-il-neoplatonismo/ ) ed ha, quale suo scopo principale, quello di liberare gli uomini dalla dipendenza con il peccato e dunque, per esteso, di spezzare il collegamento posto in essere dal peccato originale tra l’uomo e l’albero della vita e della morte.
Lo Zohar dunque eleva gli uomini, li avvicina, diremmo, a Dio: attraverso un’indagine teosofica che, va specificato, non si limita ai campi della teoria, ma diviene anche pratica esoterica e spirituale, l’uomo si libera avvicinandosi quanto più possibile alla fonte di tutta la sua esistenza, alla causa di tutto il suo Essere.
Questo è, con quasi assoluta certezza, il motivo principale per cui lo Zohar ha riscosso, e riscuote tutt’ora, tanto successo in tutto il mondo; grazie alla sua intrinseca capacità di cristallizzare un pensiero teosofico e di riportare su carta i segreti ed i misteri di antichissime pratiche esoteriche, lo Zohar si è inevitabilmente imposto sul pensiero ebraico divenendone non solo un pilastro, ma anche un simbolo.
A partire dal Basso Medioevo, la filosofia ebraica ha sviluppato una profonda dipendenza dallo Zohar in particolare e dal pensiero cabalistico in generale, riuscendo per la prima volta nella storia delle religioni a rendere estremamente popolare una tradizione esoterica, chiusa, per pochi che, ancora oggi, affascina decine di migliaia di non ebrei intorno al mondo e che, grazie al suo modo poetico di farci vedere, toccare e percepire l’Invisibile rimarrà, con ogni probabilità, eternamente popolare.