di Stefano Sannino
Agli inizi del Medioevo la realtà filosofica ebraica era estremamente diversa da come siamo abituati a pensare i movimenti culturali o letterali in genere. Specialmente nell’aria medio-orientale, gli ebrei cominciarono a svolgere ruoli via via più attivi nella società musulmana, stando ben attenti però a non mischiarvisi mai da un punto di vista culturale. Sebbene l’impiego dell’arabo fosse piuttosto comune, la comunità ebraica si rifiutava tassativamente di impiegare una lingua diversa dall’ebraico antico per scrivere i versetti della Torah. D’altro canto anche l’abitudine a trovare similitudini tra il Corano e la Torah cominciò a rendersi mano mano più forte, tanto da risultare in un distorto fenomeno d’interpretatio religiosa.
Verso il IX secolo andò poi costituendosi una setta ebraica particolare, detta setta dei Caraiti, la cui dottrina si fondava sull’accettazione cieca della tradizione biblica con un rigetto sistematico dell’interpretazione rabbinica e della cosiddetta letteratura midrashica, ovverosia di quel metodo di esegesi biblica tipicamente ebraico detto, appunto, midrash.
La visione Caraita risulta, tuttavia, particolarmente naïve: la tradizione ebraica non solo sembrerebbe una massa informe di concetti senza l’interpretazione rabbinica dei testi sacri, ma probabilmente imploderebbe anche su se stessa. Gran parte di ciò che l’ebraismo ha partorito è stato infatti il frutto non tanto dell’interpretazione letterale dei testi sacri, ma invece dell’analisi rabbinica e della letteratura midrashica con cui la saggezza degli antichi è pervenuta fino ad oggi e si è tramandata di generazione in generazione.
Perfino da un punto di vista quasi esoterico, anche la Qabbalah non è che il frutto di secoli e secoli di tradizioni orali e di insegnamenti segreti condensati intorno al XIII secolo nei testi cabalistici che oggi tutti conosciamo.
Nell’analisi della filosofia ebraica medievale non si può escludere l’importanza delle influenze neo-platoniste sul pensiero teologico, tanto che l’ebraismo medievale impiegò largamente la dialettica e la metafisica platonica. È il caso di Avraham Ibn Ezra che nel commentario al libro di Daniele (10,2) fornisce uno straordinario esempio di dialettica platonica: «L’Uno precede ogni compiuto, e ne è la causa. Non conosce variazioni in nessun senso, né positivo né negativo, pur essendo esso stesso in grado di causarle». Come non leggere in queste parole un fortissimo rimando al neo-platonismo di Plotino ed anche alla teoria del primo motore immobile di Aristotele?
Fu probabilmente questa abitudine a pensare a Dio in modo sempre più impersonale e sempre più simile al concetto di Uno platonico che diede il via, con le giuste influenze, ad alcuni pensieri Qabbalistici, come lo stesso concetto di Ein-Sof, che avremo modo di analizzare nell’ultima puntata di questa trilogia di articoli dedicati alla cultura ebraica.
In generale possiamo affermare che la filosofica ebraica del medioevo, esclusi gli insegnamenti esoterici della Qabbalah, si polarizzò in due movimenti: l’uno, quello Caraita, rifiutava tassativamente ogni esegesi biblica, mentre l’altro, quello rabbinico, poggiava sull’interpretazione dei tesi sacri. Questa seconda corrente, particolarmente influenza dal neoplatonismo e dai concetti chiave della filosofia greca, tese a rimanere sempre ben distinta dall’ascendente cultura islamica sia da un punto di vista culturale che da un punto di vista linguistico.
I filosofi ebrei dei Medioevo non erano solo però solamente pensatori eccelsi, ma anche superbi grammatici, matematici e poeti. Yehudah Ha-Lewi celebra così, tra il 1075 ed il 1141, la nostalgia per la sua terra natale dopo l’ennesima diaspora di cui gli ebrei erano stati vittima:
«Il mio cuore è in Oriente e io all’estremità dell’Occidente;
Come gustare ciò che mangio, come assaporarlo?
Come adempiere i miei voti e i miei obblighi, mentre
Sion sta sotto il gioco di Edom e io nelle catene degli arabi?
Facile per me abbandonare tutte le ricchezze della Spagna, tanto
Mi è prezioso rivedere la polvere del Tempio distrutto.» (trad. Maurice-Ruben Hayoun)