di Gabriele Rizza
C’è una qualità che manca ormai da anni nella nostra classe politica: il silenzio. Perciò di Mario Draghi, complice la riserva ancora da sciogliere, ne apprezziamo il silenzio istituzionale e mediatico, l’assenza di cinguettii su Twitter e di post su Facebook, liberandoci, almeno per un periodo, dal regno dei social media manager. Draghi sta lasciando voce alla prassi istituzionale, alle consultazioni con le forze politiche e a trovare la quadra sui ministeri. Cose normali si potrebbe pensare, ma non scontato in un paese in cui il vuoto culturale e di stile è dato ogni qual volta i politici intervengono con post, interviste e rèclame, come una replica politica del gossip televisivo. Se però possiamo sperare che le cose in Italia vadano meglio, non possiamo certo illuderci che vadano bene. Il probabile futuro primo ministro sta accelerando la crisi dei partiti anche con il suo silenzio, rimescola i rapporti di forza e mette a dura prova le alleanze storiche e quelle futuribili: il centrodestra da una parte ha la necessità di tenersi in testa ai sondaggi senza sfaldarsi, dall’altra non può restare fuori dai giochi in questa partita che darà vita al governo Draghi. Così, alla disponibilità data da Salvini, realista per merito di Giorgietti, numero due della Lega, fa da contraltare l’ostinata richiesta di elezioni di Giorgia Meloni. Salta quindi il vantaggio di stare tutti insieme all’opposizione, ora il gradimento dell’elettorato sarà dato dalle scelte e dal peso politico che avrà il centrodestra in questa nuova avventura di governo. Il centrosinistra, non naviga in condizioni migliori: naufraga il progetto, simbolo della segreteria di Zingaretti, di alleanza organica tra PD e M5S. Di più, c’è la beffa di esser stati sconfitti dal “piccolo” Renzi, che ha nei sondaggi il 2% contro il 20% del PD. Renzi invece pur avendo sacrificato il suo potere di ago della bilancia nel Conte II, si è dato l’ultima occasione di sopravvivenza politica oltre il 2023, perché ha vinto contro Conte e il cinismo della politica vuole che andare avanti sia solo chi vince, che sia alle elezioni o nelle tattiche parlamentari. La risposta dei partiti al silenzio di Draghi e alla crisi che ne segue, non è quell’auspicato momento di riflessione: la priorità degli ultimi giorni è tirare la giacca a Draghi, costruirgli un’immagine quanto più possibile vicina alle posizioni del singolo partito dichiarando a tutta Italia i contenuti delle consultazioni. Sarebbe normale e apprezzabile se gli interventi si limitassero ai progetti e alle idee, invece si fa gara nel gossip politico: Grillo dichiara: “Draghi è un grillino, trova una grande idea il reddito di cittadinanza”, Salvini replica: “Draghi ha detto che non vuole alzare le tasse”. Non ha ancora parlato e già Draghi ha mille identità. E intanto i partiti fanno un ulteriore passo verso il baratro, nello stile, nella prassi e nei contenuti.