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giovedì, 19 Dicembre, 2024

La digitalizzazione necessaria

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di Giovanbattista Trebisacce, Professore di Pedagogia generale Università degli studi di Catania e Socio AIDR


Il 23 gennaio 2020 rappresenterà una data importante nei futuri libri di Storia; un giorno che segnerà il futuro del mondo intero. La Cina quel giorno decide di chiudere ogni attività, comprese le scuole, nella provincia di Wuhan e di presentare al mondo intero il virus Covid 19, protagonista indiscusso degli ultimi 8 mesi. Il virus, nelle settimane successive, fa il giro del mondo e l’Italia è tra i primi paesi colpiti duramente, dopo la Cina. In Italia le prime chiusure delle scuole, nelle aree del Lodigiano, scattano il 21 febbraio. L’1 marzo le chiusure si allargano ed iniziano i DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) che consentono alle scuole, nei territori coinvolti dall’emergenza sanitaria, di attivare, sentito il collegio dei docenti, per la durata della sospensione, modalità di didattica a distanza. Il 4 marzo un nuovo DPCM stabilisce la chiusura di scuole e Università in tutta Italia, trasformando l’indicazione relativa all’uso della didattica a distanza da facoltativa in obbligatoria. Pochi giorni dopo, con il DPCM dell’8 marzo, l’Italia si ferma con la sola eccezione delle attività essenziali. Tali misure, progressivamente, verranno adottate dagli altri Paesi europei e, subito dopo, su scala mondiale.
Con una serie di proroghe legate all’emergenza sanitaria incontrollata in Italia la chiusura di scuole e Università si protrae fino alle vacanze estive e oggi, a pochi giorni dalla riapertura di esse in alcune regioni, la situazione appare ancora incerta e molto problematica.
La chiusura ha “imposto” un “gigantesco esperimento collettivo di didattica on line” che ha generato inevitabili difficoltà e tante discussioni intrise, molte volte, di sterili polemiche.
Non voglio dilungarmi, ma vorrei partire da una considerazione che, penso e spero, ormai definitivamente acquisita: la scuola del domani non sarà e non potrà essere quella del passato, non solo nell’immediato e nei mesi/anni del necessario distanziamento fisico, ma anche e soprattutto in prospettiva. L’utilizzo “sperimentale e di emergenza” di strumenti e metodologie nuove, la necessità di riorganizzare gli spazi in maniera più flessibile e modulare, la necessità di avere gruppi più piccoli di studenti, devono rappresentare, a mio avviso, delle opportunità per ripensare, nel complesso, le metodologie didattiche. Bisognerà, necessariamente, allontanare la “tentazione” di dimenticare questo periodo emergenziale con un ritorno netto al passato, così come bisognerà evitare di continuare “ad affidarsi senza riflessione o mediazione” agli strumenti tecnologici conosciuti e adoperati in questi mesi. Prima di “cadere” in sterili polemiche bisogna comprendere che l’uso che ne abbiamo fatto nel periodo emergenziale è distante anni luce da quello che sarebbe desiderabile in una situazione di normalità adeguatamente organizzata e progettata.
Quello che è stato fatto in Italia non è stata una didattica a distanza, ma piuttosto un esperimento di didattica di emergenza, basato su un uso, obbligato ma errato, di strumenti nati, invece, per essere utilizzati in altri modi, in un diverso contesto, affiancando e non sostituendo la presenza. Sulla base di queste considerazioni e, soprattutto, sulla scorta della mia esperienza personale (i corsi di Storia della pedagogia e di Filosofia dell’educazione presso il Disum dell’Università di Catania) posso affermare che la didattica online (se fatta bene) non impedisce di sviluppare relazioni umane feconde e significative e non è necessariamente passiva e trasmissiva, ma può essere attiva, partecipata e costruttiva. Questo non vuol significare che la didattica a distanza possa sostituire quella in presenza: la scuola e l’Università sono ambienti fisici relazionali dove “nascono” mille forme di apprendimento non formale e informale. Mi sorprendono i tanti “fraintendimenti” di colleghi e “esperti” che hanno speso tanto tempo e tante energie per criticare le forme in cui la didattica e l’apprendimento si sono dovuti svolgere in questi mesi. La contrapposizione tra didattica a distanza e didattica in presenza è errata: la didattica in presenza prevede ed ha sempre previsto “attività a distanza”, mentre, d’altra parte, gli strumenti di didattica e apprendimento online rivolti al mondo della scuola sono pensati per integrare e non sostituire la presenza. Gli strumenti di didattica online che nei mesi scorsi siamo stati costretti ad usare in modo molte volte improprio ed in un momento emergenziale, rappresentano invece per le scuole e per le Università tecnologie assai utili, assieme ad altre, per implementare la qualità della didattica. Durante l’emergenza ho avuto l’onore di organizzare 7 incontri per i miei studenti con colleghi ed ospiti di caratura internazionale, che difficilmente in presenza avrei avuto a Catania), accompagnando e integrando il lavoro in presenza e non certo sostituendolo.
Nella situazione di emergenza vissuta, considerate le enormi “diseguaglianze” non solo di dotazioni tecnologiche ma anche e soprattutto di competenze, visti i tanti Report pubblicati (CENSIS, IPSOS, CISL-SCUOLA), possiamo affermare che l’esperimento di didattica online ha funzionato ben oltre le più rosee prospettive.
In conclusione, possiamo dire che la didattica a distanza di emergenza ha funzionato discretamente, raggiungendo la stragrande maggioranza degli studenti, ma non ha raggiunto risultati univocamente positivi: sono innegabili le disuguaglianze emerse, l’assenza di chiare metodologie operative, la confusione tra scuola di emergenza e scuola del futuro. Bisogna necessariamente provare a distinguere i problemi reali (mancanza di competenze in primis) dai tanti luoghi comuni che rischiano di distogliere l’attenzione dai veri problemi (e sono tanti) e produrre discussioni sterili e populiste.
L’auspicio è che di questa emergenza sanitaria si faccia tesoro e si passi ad una digitalizzazione completa degli ambienti di apprendimento e delle strutture scolastiche di tutto il Paese e si elabori una seria politica della formazione dei nuovi docenti e di quelli in servizio.

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