La recente crisi finanziaria, partita nel 2008 dagli Stati Uniti e giunta poco dopo anche nel continente europeo, si è ben presto propagata all’economia reale, causando una profonda recessione accompagnata da una forte contrazione dell’occupazione. Un calo generalizzato che ha colpito tutti i comparti economici, da quello produttivo al settore dei servizi.
Lentamente e faticosamente la situazione sta migliorando e anche nel vecchio continente si assiste ad un ritorno della crescita economica, non uniforme tra i vari paesi e certo a ritmi meno sostenuti degli USA, dove ormai la crisi è completamente superata. Ma un dato, tra i tanti che gli istituti specializzati quasi quotidianamente ci forniscono, è molto preoccupante: l’occupazione non riparte.
Un esempio ci viene dall’Irlanda, paese duramente colpito dalla crisi, che è stato tra i primi nella UE a recuperare il segno positivo della crescita economica, ma dove mancano 300.000 posti di lavoro rispetto ai livelli pre-crisi. Una tendenza comune a quasi tutti i paesi della UEM , che vede l’occupazione ancora in affanno nonostante i parametri economici si stiano portando su valori positivi. Una “crescita senza lavoro” quindi, fenomeno inquietante, che coinvolge particolarmente le giovani generazioni. Ricordiamo che sono oltre 5,6 milioni in Europa i giovani disoccupati, raddoppiati o addirittura triplicati in alcuni paesi negli ultimi anni. Certo la causa, come è stato detto, è imputabile in gran parte alla severa recessione, e anche ad una diversa organizzazione dei fattori produttivi nel post-crisi, ma non solo.
C’è un elemento di novità che emerge con chiarezza da un recente rapporto della Mckinsey su otto paesi UE: la colpa non è tutta della congiuntura, ma è da ricercare anche altrove, in particolare nella preparazione. Risulta sorprendente come il 47% dei datori di lavoro italiani riferisce che le loro aziende sono danneggiate dall’impossibilità di reperire i lavoratori con le competenze giuste, ed è la percentuale più alta tra i paesi esaminati. La medesima criticità, infatti, la ritroviamo anche in altri paesi come Spagna (33%) o in Germania (26%), ma le difficoltà a ricercare gli skill, le attitudini, le capacità e i talenti richiesti appaiono inferiori fuori dal nostro paese.
Può questo spiegare il 41,6 % di disoccupazione giovanile in Italia? Secondo il rapporto McKinsey in parte si. La domanda e l’offerta di lavoro non si incontrano anche perché l’orientamento della formazione dei giovani non riesce, in larga parte, ad intercettare i bisogni dei datori di lavoro. Ciò è sicuramente il risultato di una mancanza di comunicazione tra gli enti di formazione e il mondo del lavoro. I diversi player del mercato del lavoro non parlano tra di loro e non comprendono le esigenze e le aspettative dell’altro, sostiene il dossier. Dove questo accade, come in Germania e nel Regno Unito, dove esiste un rapporto di interlocuzione continua, si determinano condizioni di maggiore efficienza in grado di fronteggiare meglio le sfavorevoli congiunture economiche.
Simona Belluccio