Il Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 16 luglio 2014 pubblicava il regolamento previsto dall’art. 11 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, recante la “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”. Il regolamento, il n. 6 rubricato “Formazione continua”, pone a carico dell’avvocato l’obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale, al fine di assicurare la qualità delle prestazioni professionali e di contribuire al migliore esercizio della professione nell’interesse dei clienti e dell’amministrazione della giustizia.
Obbligo o non obbligo, per esercitare la professione forense è necessario ed indispensabile non una formazione meramente formale, ma uno studio costante e continuo fatto di aggiornamento ed approfondimento.
Anzi, diro’ di più.
L’avvocato, come accadeva una volta, deve creare la norma poiché quest’ultima viene ad emergere dai casi pratici, che si affrontano quotidianamente e che, spesso, sono totalmente nuovi in quanto scaturiti dai mutamenti sociali, politici ed economici del tessuto connettivo, in cui siamo immersi.
La preparazione e la formazione sono obbligatori in re ipsa, per il solo fatto di esercitare la professione forense, essendo compito specifico dell’avvocato la rappresentazione e l’inquadramento del caso nuovo da sottoporre al vaglio del magistrato, così da incidere sulla creazione, proprio a partire dal caso pratico, di indirizzi giurisprudenziali.
L’avvocato è, infatti, il primo a cogliere i mutamenti repentini e veloci della società civile ed ha una funzione determinante: deve essere di impulso per gli organi, che hanno il dovere di scrivere e approvare la norma ad hoc per i casi non previsti dall’ordinamento giudico, al fine di cogliere le esigenze dei cittadini , così come si addice ad uno stato “democratico”.
Lo snaturamento della professione ha fatto perdere di vista, sia all’avvocato stesso che alla società civile, questa funzione propulsiva, che è una delle più importanti dell’avvocatura e che deve essere recuperata.
Dopo aver evidenziato quale è il vero rapporto tra l’avvocato e la formazione, è determinate sapere che il testo del regolamento dianzi citato (in attuazione della Legge n 247 del 2012) prevede all’art. 7:
Libertà di formazione
1. Ogni iscritto ha diritto di scegliere liberamente le attività formative alle quali partecipare in relazione alle proprie esigenze di aggiornamento e formazione professionali, ai settori di attività nei quali esercita prevalentemente la professione, ai propri interessi sociali e culturali.
2. La libertà di scelta delle attività formative concerne le attività formative organizzate sul territorio italiano e dell’Unione Europea.
3. Ai fini dell’adempimento dell’obbligo formativo potrà essere altresì riconosciuta la validità di attività formative non previamente accreditate, svolte in Italia e all’estero ai sensi del presente regolamento.
4. Le attività formative svolte in modalità e-learning ovvero streaming non potranno essere riconosciute valide ove non siano state previamente accreditate.
Alla luce del regolamento e della legge vigente il singolo avvocato sceglie come e dove formarsi e può presentare istanza di accreditamento al Coa, indicando come, dove e perché ha svolto un qualsiasi corso in una materia tecnico giuridica, facendosi rilasciare attestato di partecipazione, anche per corsi non previamente accreditati. Il Comma 2 del medesimo articolo parla chiaramente.
Ebbene siamo giuristi, siamo avvocati e siamo liberi .
La conoscenza rende liberi, affranchiamoci dai crediti o, meglio, dal ricatto dei crediti.
La legge ce lo consente.
Avv. Anna Mondola
Dirigente Nazionale Nuova Avvocatura democratica