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sabato, 16 Novembre, 2024

La caduta dell’uomo: il punto di vista monoteista

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di Stefano Sannino

Uno dei temi più importanti della religione cristiana, così come anche di quella ebraica, è certamente il tema della caduta dell’uomo dallo stato di statica-perfezione dell’Eden, a quello di esistenza corrotta sulla Terra. Questo tema, che è fondamentalmente quello per mezzo del quale viene introdotto il male (con la m minuscola) nelle scritture monoteiste, non nasce però con le suddette religioni, bensì ne accomuna anche molte altre, definendo de facto un fil rouge che sottende gran parte delle civiltà e delle culture umane. Nonostante le grandi differenze interpretative, è possibile analizzare questo tema guardando a due soli macro-punti di vista: quello monoteista e quello politeista.

L’esempio interpretativo di cui ci si può avvalere per comprendere il tema della caduta, non è affatto – come ritenuto plausibile da molti – quello cristiano, ma quello ebraico, che ha costruito intorno a questo problema umano, un’intera speculazione teorica e teosofica volta principalmente a spiegare il perché l’uomo sia condannato a vivere in una Terra colma di peccato e di malvagità. La spiegazione ebraica parte quindi dalla teosofia, ed in particolare dalla Qabbalah, nella misura in cui è proprio per mezzo di questa disciplina che si è teso, nel corso dei secoli, ad identificare ed esplicare il “tema della caduta”.

Nel dettaglio, è considerazione dei qabalisti che l’Eden fosse situato nella semi-sephira Da’ath (conoscenza), figlia – nell’albero sephirotico – di Chockmah (saggezza) e Binah (comprensione). Da’ath, oltre ad essere la sede di ogni conoscenza e Verità, era anche posta subito al di sotto della Triade Superna delle Sephiroth (Keter, Chockmah, Binah), quelle che – per definizione – sono più vicine a YHWH, avendo quindi una posizione privilegiata rispetto a Dio stesso. In questo stato di staticità e perfezione, il primo uomo (Adam Kadmon) non poteva che godere del suo privilegio, fintantoché non avvenne la tentazione e quindi, la caduta.

Come evidente dall’immagine qui riportata, Da’ath non è però disegnata come tutte le altre Sephiroth dell’Albero della Vita, ma è riportata – nella sua posizione originaria – in un colore più chiaro, sottolineando ancora una volta la sua differenza sostanziale rispetto agli altri attributi di Dio. Se infatti una volta essa era la sede dell’Eden e di tutte le Verità immutabili dell’Universo, dopo il peccato originale e la caduta dell’Uomo, Da’ath cade con lui, trasformandosi ( a detta di alcuni qabalisti) in Malkuth ovverosia l’ultima Sephira (10). Questa teoria, sarebbe anche avvallata dal fatto che la Sephira Yesod (9) può essere tradotta come “Il fondamento“, alludendo quindi al fatto che in origine, dovesse essere lei – e non Malkuth – l’ultima Sephira dell’Albero della Vita.

Altra interessante spiegazione che sosterebbe il concetto della caduta di Da’ath dalla sua posizione privilegiata e la sua trasformazione in Malkuth, sarebbe quello che connette questa semi-sephira a Lucifero, il Diavolo1. Se infatti Da’ath è la sede della conoscenza, dovrebbe essere – a detta di alcune visioni qabaliste – anche la Sephira originariamente associata a Lucifero, il quale dopo la caduta dell’uomo dall’Eden sarebbe precipitato anch’Egli, finendo ad apportare la sua influenza sul mondo corrotto ed imperfetto che è Malkuth. È proprio per questo motivo, che quando si parla del concetto di “male” riferito a Malkuth (quindi al nostro mondo) si utilizza la m minuscola, mentre al contrario, se si dovesse parlare del Male quale concetto assoluto e quindi riferito alla Sephira Geburah (5) si dovrebbe utilizzare propriamente la M maiuscola. Il tema della caduta nella visione monotesita, viene quindi declinato sotto tre aspetti: la caduta di Da’ath in Malkuth (10), la caduta di Adam Kadmon dopo la tentazione ed infine, la caduta di Lucifero da Arcangelo della Conoscenza a Diavolo.

Molto differente, sarà invece il punto di vista dei politeismi che, come vedremo non metteranno le azioni umane come causa della caduta e della degradazione del cosmo, così come fatto invece dai monoteismi, che – ancora una volta – danno priorità al soggetto (uomo), caricando su lui la colpa e la responsabilità della caduta dell’Universo dalla perfezione, alla corruzione.

 

Il termine Diavolo, derivato dal greco antico Διάβολος (Diábolos) è qui utilizzato secondo il senso comune e non nel 1 senso accademico, il quale ormai riconosce soluzione di continuità tra queste due figure mitologiche, il cui accostamento è frutto di meri errori di traduzione dei testi sacri.

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