di Alessandro Giugni
L’Unione Sovietica, dopo essersi invano opposta alla rinascita di una Germania militarizzata (fatto questo che si verificò il 9 maggio 1955 con l’ingresso della Repubblica Federale Tedesca nella NATO), siglò il Trattato di amicizia, cooperazione e assistenza reciproca, meglio noto come “Patto di Varsavia”, con altri 7 paesi. In virtù di tale Patto, gli stati aderenti si impegnarono a intervenire militarmente gli uni a difesa degli altri in caso di attacco. Ma non si trattò unicamente di un atto volto alla mutua tutela da interventi militari stranieri. Interesse comune dei paesi socialisti era il perseguimento degli obiettivi della cosiddetta Dottrina Breznev, secondo la quale sarebbe stato da considerarsi problema comune a tali stati ogni evento atto a deviare verso il capitalismo lo sviluppo di uno dei paesi coinvolti nel Patto.
Il 5 Gennaio 1968 Alexander Dubcek, divenuto segretario del Partito Comunista di Cecoslovacchia, diede avvio a quella che oggi conosciamo come Primavera di Praga, una stagione, per quanto breve, di riforme finalizzate a eliminare buona parte delle limitazioni alle quali erano assoggettati i diritti della popolazione ceca: vennero concesse maggiore libertà di stampa e di movimento, nonché venne disposta la divisione della Cecoslovacchia in due nazioni distinte, ossia la Repubblica Slovacca e la Repubblica Ceca. I Paesi aderenti al Patto di Varsavia videro nelle mosse di Dubcek una minaccia alla stabilità delle politiche socialiste e fu così che il 21 agosto 1968 venne dato il via all’Operazione Dunaj.
21 agosto 1968, ore 4. Josef Koudelka, giovane fotografo praghese, viene svegliato da una chiamata di Marie Lakatosova, figlia di un musicista gitano fotografato dallo stesso Josef pochi mesi prima. “Sono arrivati i russi. Apri la finestra e ascolta”. Il rumore degli aerei militari squarcia il silenzio della notte. Koudelka imbraccia la macchina fotografica, riempie le tasche di pellicole e istintivamente si incammina verso la Radio. Quel luogo sarebbe di lì a poco divenuto teatro di un’invasione da parte di quegli stessi russi che nel 1945 l’avevano occupato in segno di liberazione di Praga dall’oppressione nazista. La prima fotografia di 200 rulli Koudelka la scatta a un’auto d’epoca con a bordo quattro ragazzi intenti a suonare ininterrottamente il clacson per destare i praghesi dal sonno e chiamarli a raccolta contro gli invasori. Le strade iniziano ad animarsi. Arrivano i primi mezzi leggeri dell’esercito. La gente li circonda, non li lasciano passare. Koudelka sfrutta a suo vantaggio lo stato di confusione che si era venuto a creare: da un lato, i cittadini avevano capito che, se non avessero agito in prima linea, nessuno avrebbe difeso i loro diritti e la loro libertà; dall’altro, i soldati cechi, mobilitatisi in virtù della decisione assunta dagli Stati del Patto di Varsavia, non riuscivano a capire perché la popolazione non volesse essere liberata dalle “forze controrivoluzionarie che minacciano l’ordine socialista”. Le fotografie di Josef mettono in luce una realtà ben diversa da quella descritta dalle alte sfere russe. La sola sproporzione tra i carri armati del Patto di Varsavia e la popolazione appiedata e disperata dovrebbe essere sufficiente per rendersi conto dell’inesistenza di qualsivoglia forza controrivoluzionaria.
Dopo l’occupazione della Radio da parte dei paracadutisti russi, iniziano gli scontri con la popolazione: i blindati aprono il fuoco sulla gente uomini, donne e bambini vengono schiacciati sotto i cingoli, qualcuno disegna le svastiche sulle fiancate dei carri armati russi, altri eliminano la segnaletica della citta al grido di “il postino trova l’indirizzo, il bastardo no”. Simbolica l’immagine di un vecchio pronto a combattere contro un veicolo militare armato di un sampietrino.
Queste fotografie acquisiranno rilevanza internazionale per un caso fortuito. Dopo essere stato scambiato per un cecchino mentre fotografava da una finestra, Koudelka affidò i negativi a un ragazzo, il quale li spedì a Radio Free Europe a Vienna. Dopo averli recuperati due settimane dopo, il fotografo si lascerà convincere da un’amica critica d’arte ad affidarli a Eugene Ostroff, curatore dello Smithsonian di Washington, il quale le sottoporrà all’attenzione di Elliott Erwitt, allora presidente di Magnum, che decise di pubblicarle. L’autore resterà anonimo fino al 1984 e le stampe verranno diffuse con il timbro “Photograph by P.P”, ossia “Prague photographer”. L’anonimo praghese, così verrà definito, riuscirà a emigrare nel 1970 e non ritornerà in patria fino al 1991. 20 anni di esilio che gli costeranno l’impossibilità di rivedere i genitori se non in un’unica occasione, a Parigi nel 1977, quando venne pubblicata l’opera “Zingari”. La copia che aveva loro dedicato restò sul tavolo della sala della casa di Koudelka, “era troppo pesante”, gli disse il padre, ma in realtà troppa era la paura che potessero riconoscerli come i genitori dell’anonimo praghese. Fu così che Koudelka decise di aggiungere una dedica nell’edizione cartacea dell’opera contenente le fotografie sulla repressione della Primavera di Praga: “Ai miei genitori che non hanno mai visto queste fotografie”