di Gabriele Rizza
Bagarre alla Camera dei Deputati. L’intervento dell’onorevole (non onorabile) del M5S, Riccardo Ricciardi, ha provocato la rabbia delle opposizioni, della Lega in particolare. Il pentastellato difendeva l’operato del governo giallorosso nella gestione dell’emergenza sanitaria e le misure economiche adottate dal ministro Gualtieri (PD) nel decreto rilancio.
La difesa presentata a modo di attacco ironico a Giuseppe Conte, come fosse un deputato dell’opposizione, si è chiusa con la proposta al Premier, ancora più ironica, di prendere a modello la Regione Lombardia -sottolineandone l’amministrazione leghista – che ha subito più di quindicimila morti. Immediatamente si è scatenata l’ira di tutto il centrodestra. In sostanza, l’onorevole Ricciardi, ha identificato migliaia di lutti con colori politici, verde in questo caso, proponendo così una gara a quale area politica ha fatto meno morti. Senza tener conto delle condizioni originarie, che hanno visto la Lombardia la prima regione colpita quando tutti, maggioranza e opposizione, sottovalutavano la portata devastante del Coronavirus. Ancora più squallida e senza onore è stata la cornice ironica entro la quale i quindicimila morti lombardi sono stati nominati.
In tanti hanno condannato l’intervento di Ricciardi, anche personaggi di certo non associabili al centrodestra, come Enrico Mentana. Il giornalista di La7 ha dichiarato in post sui social rivolto al deputato dei cinquestelle: “Se non fosse un eletto le direi che è un coglione, ma temo di essere querelato, dagli incolpevoli testicoli”. Come si può non essere d’accordo con il direttore Mentana. Il problema va oltre l’essere coglioni. Il problema è il più grosso limite che gli italiani si trascinano dietro da secoli e secoli: la faziosità a discapito dell’unità e dell’interesse nazionale, l’avversario interno come principale nemico. Dove le sofferenze di alcuni italiani valgono meno se non sono della tua parte. Vale per tutti, a destra, a sinistra o al centro. È una storia che viene da lontano, da quando i piccoli ducati, i regni e il Papa dell’Italia preunitaria chiamavano ora i francesi, gli austriaci o gli spagnoli a sedare il proprio avversario guelfo o ghibellino, restauratore o giacobino, fino ad arrivare ad una guerra civile combattuta tra il 1943-45, ferita ancora non rimarginata nella memoria e nella cultura italiana.
Possiamo andare in anni più recenti. Certo, la portata della faziosità si è fatta più al passo con i tempi: meno radicale e più spicciola, meno ideologica e più da lite su Facebook. Più ignorante e personale, da bar dello sport.
Cade la Libia di Gheddafi, alleato di Silvio Berlusconi, e il PD festeggia anche se, con quella caduta, sono sprofondati i nostri legami vantaggiosi con quel paese. I gialloverdi vanno al governo nel 2018, l’UE minaccia ritorsioni a colpi di spread e il PD si tiene stretta la bandiera blu e non il tricolore. La gendarmeria francese di Macron entra a Bardonecchia, il governo gialloverde protesta e il PD posta la bandiera francese sui social. Ma riguarda tutti: le sovraniste Austria e Ungheria non ci aiutano con la gestione dei migranti e non appoggiano le nostre misure fiscali espansive del 2018 e la Lega di Salvini continua a guardare a loro come modello solo perché contro i suoi avversari interni.