In questi ultimi mesi si è detto e scritto molto su ciò che sta succedendo tra Siria e Iraq, e soprattutto sul famigerato Isis, il califfato islamico che si espande sempre più. Sinceramente, credo ci si debba riflettere sopra più approfonditamente di quanto facciano, e abbiano fatto, la politica e i media occidentali. Vediamo un paio di cose che, a mio parere, dovremmo considerare in modo diverso.
Prima di tutto dovremmo smetterla di definire l’Isis un “movimento terroristico”. Non lo è. Con questo non voglio sminuire la sua negatività o la sua pericolosità, ma solo fare una precisazione sulla reale natura del fenomeno. Un movimento terroristico è qualcosa di più fumoso, fatto di piccole cellule più o meno indipendenti o addirittura di singoli militanti pronti a tutto. La caratteristica principale del terrorismo è il fatto di essere una spina nel fianco del nemico, un fantasma evanescente che si muove, non visto, nel tessuto sociale che vuole distruggere. Pensate alle brigate rosse di casa nostra. I terroristi vivevano qui, tra noi, e agivano con metodi propri di chi non ha grandi mezzi, ma vuole colpire con atti precisi e fulminei. Lo stesso possiamo dire di Al-Qaida. Le cellule del terrorismo islamico si sono insinuate nella società occidentale, organizzandosi nell’ombra per colpire il sistema dall’interno. Pochi uomini, ben addestrati, sono riusciti a terrorizzarci con gesti ben calcolati e mirati, come l’attacco alle torri gemelle.
L’Isis, al contrario, è un fenomeno ampio, con chiare mire egemoniche. L’Isis non è uno strumento di attacco al sistema, ma un sistema a se stante, un
vero e proprio stato, con tanto di territorio, governo ed esercito. Paragonarlo ad Al-Qaida o agli altri movimenti terroristici islamici è quindi scorretto e pericolo. In questi mesi tutti gli stati occidentali hanno sottovalutato di parecchio il potere e la pericolosità del califfato, permettendogli così di espandersi. Ritenerlo solamente l’ennesimo movimento jihadista è stato un errore imperdonabile. E ora ne paghiamo le conseguenze.
Detto questo, passiamo all’altra questione importante. Si sente spesso commentare gli eventi legati al califfato dicendo “sono arretrati” o “sono rimasti al medioevo”. Nulla di più falso. L’Isis è modernissimo ed è il figlio marcio e degenerato dell’occidente. Ciò che sta accadendo è il risultato, per altro prevedibile, della politica arrogante e irresponsabile che gli stati occidentali hanno portato avanti negli ultimi due secoli e particolarmente nel XX e in questi primi anni del XXI. Le radici dell’ideologia dell’Isis (sempre che esista un’ideologia al di là della voglia di potere) si possono trovare nel panarabismo, nato negli anni ’70 – ’80 del XIX secolo. Anche se in principio questa ideologia, che mirava a unire sotto una sola bandiera tutti i popoli “arabi”, non era strettamente legata alla religione islamica (il più importante manifesto del panarabismo fu scritto nel 1905 da Negib Azoury, un arabo libanese di fede cristiana maronita), presto divenne un tutt’uno con il concetto di comunità dei credenti (in Allah) e contribuì a diffondere la visione più restrittiva e integralista dell’Islam. Ai paesi occidentali il fenomeno fece dapprima comodo. Il panarabismo era un problema non da poco per l’Impero Ottomano e favoriva quindi le mire commerciali ed economiche dell’Inghilterra. Ma appena caduto l’Impero Ottomano, i panarabisti si rivoltarono proprio contro quei paesi (Inghilterra, Francia…) che dell’Impero avevano preso il posto. È proprio in quel periodo che nasce il movimento, tuttora esistente e in continua espansione, dei Fratelli Musulmani, fondato da al-Hasan al-Bannā, un insegnante egiziano, nel marzo del 1928 proprio come reazione all’occidentalizzazione della società araba, vissuta come imposizione coloniale. I Fratelli Musulmani non sono l’Isis. Non voglio confondere i due movimenti. È però innegabile una certa somiglianza ideologica (anche se ben diverso è il comportamento e il modo di agire) e una radice comune nel panarabismo e nell’integralismo. Dalla loro nascita, questi movimenti sono cresciuti tra l’indifferenza o con la compiacenza dei paesi occidentali. È nota la stima che Hitler nutriva per l’Islam e la sua collaborazione con alcuni movimenti islamisti. E, nel secondo dopoguerra, le potenze occidentali, primi fra tutti gli USA, hanno appoggiato, finanziato, addestrato e armato i jihadisti per contrastare il potere dell’URSS comunista. Ricordiamo l’appoggio dato, nell’ombra, dagli USA ai Mujahidin afgani. Fu grazie agli armamenti, forniti attraverso canali non ufficiali, dagli americani che il popolo afgano poté liberarsi dall’occupazione russa. Ideatore del finanziamento e curatore di tutto il procedimento fu il senatore statunitense Charlie Wilson, che riuscì a scucire alle casse USA circa un miliardo di dollari per comprare gli armamenti per gli afgani al mercato nero. Una volta liberato il paese, Wilson chiese un ultimo finanziamento di un solo milione di dollari circa, una miseria in confronto a quanto speso, per finanziare la costruzione di scuole e infrastrutture sociali, in modo da permettere lo sviluppo di una società democratica ed evoluta in Afghanistan. Non glielo concessero, abbandonando gli afgani a loro stessi. Il vuoto di potere così creato fu presto riempito, come sappiamo, dai talebani. Se avessero dato quei soldi (pochissimi per le casse americane) si sarebbero evitati parecchi morti e, forse, lo stesso attacco dell’11 settembre non sarebbe avvenuto.
Nonostante questo, la politica internazionale dell’Occidente resta sempre la stessa, superficiale e irresponsabile. Anche in Iraq la situazione non è diversa. Saddam Hussein non era certo un agnellino tenero e democratico, ma ciò che gli USA hanno fatto è stato a dir poso sciocco. La guerra, basata sul nulla, non ha per niente importato la democrazia al contrario di quanto la propaganda vorrebbe far credere. Il governo che gli americani hanno messo al comando nel paese è infatti peggiore di quello di Saddam. E mentre Saddam era fondamentalmente un laico (anche se usava l’Islam per farsi pubblicità), tanto che il suo braccio destro, Tareq Aziz, era cristiano, l’attuale governo è fatto di sciiti integralisti. Gli Stati Uniti hanno usato, nello scegliere i governanti, la classica tecnica coloniale: mettere al potere le minoranze, in modo che restino fedeli al colonizzatore che permette loro di comandare. Gli iracheni sono, infatti, a maggioranza sunnita. E nella loro superficialità non hanno considerato che gli sciiti sono vicini alle autorità iraniane essendo l’Iran controllato, appunto, dagli ayatollah sciiti. Per ora il governo iracheno è fedele agli USA perché così gli conviene, ma cosa succederà se e quando gli Stati Uniti lasceranno a se stesso l’Iraq? Cosa succederebbe se Iraq e Iran si unissero in un fronte comune anti-occidentale? Spero di non doverlo mai scoprire.
I continui interventi sgraziati e violenti che l’Occidente ha fatto, e fa, nei paesi islamici, i continui tentativi di imporre la propria visione del mondo, dell’economia, della politica, i continui soprusi fatti (soprattutto nei paesi africani dove le multinazionali occidentali rapinano le risorse e le terre con l’appoggio di politici corrotti) hanno creato un clima di odio e rabbia nei confronti dei paesi europei e americani, che ha creato un terreno fertile per il fiorire di ideologie fanatiche e integraliste. E quale migliore elemento della religione per unire tutti questi disperati e arrabbiati senza più nulla da perdere? Perché la religione, quale che sia, non è la causa delle guerre, ma la scusa che il potere usa per nascondere le vere ragioni. Anticamente si usava la scusa della “costruzione dell’impero”, poi, caduto l’Impero Romano d’Occidente, questa scusa fu sostituita con quella religiosa: dall’unione di tutta la Cristianità in un solo stato, alla liberazione del Santo Sepolcro, all’evangelizzazione degli infedeli, furono molte le guerre fatte ufficialmente in nome di Dio che nascondevano, però, scopi economici ben più terreni. Oggi la scusa religiosa non è più di moda nei nostri paesi e la si è sostituita con l’esportazione della democrazia, come se la democrazia fosse un prodotto commerciale e come se si potesse imporre a tutti lo stesso, unico, modello di pensiero e di governo. La realtà dell’Afghanistan, il cui governo differisce da quello talebano solo nel suo essere filo-americano, e dell’Iraq, dimostrano chiaramente come non si sia importata nessuna democrazia, ma si siano tutelati solo e unicamente gli interessi economici degli USA. E in questa cornice fatta di speranze tradite, di persone morte, di città distrutte, l’odio verso l’occidente sale e l’integralismo cresce.
C’è un altro aspetto dell’Isis che ce lo mostra come nostro figlio: la sua grande capacità mediatica. Questo è il suo aspetto più moderno e attuale. Ogni gesto pubblico, ogni comunicato, ogni video, è studiato in tutti i minimi particolari per aumentarne la spettacolarità e l’effetto scenico. Le esecuzioni con il coltello, invece che con la fucilazione, rende il tutto più lento, sanguinoso, orribile e spettacolare. E questo ha due effetti.
Prima di tutto crea paura e inquietudine. L’Isis ha in comune questo col terrorismo: vive e si nutre della paura del nemico. Questi video, grazie alla loro studiata crudezza, fanno il giro del mondo in men che non si dica. Da noi l’informazione si presta al gioco e li mostra, anche se non interi, e la politica della nostra piccola e provincialotta Italia se ne approfitta per dichiarazioni di pancia, utili a ottenere facili consensi, ma che fanno il gioco dell’Isis diffondendo odio e rancore. Anche nei paesi dove i media, responsabilmente, hanno deciso di non cadere nella trappola e non mostrano i video, internet li rende accessibili a chiunque.
Il terrore non è l’unico effetto dei video. Essi fungono anche da pubblicità per reclutare nuovi jihadisti. Dai paesi europei (e non solo) c’è un
continuo flusso di persone che, attraverso la Turchia, cercano di entrare nei territori occupati dal califfato per arruolarsi. Si tratta per lo più di giovani originari di paesi islamici, spesso nati in Occidente, nelle periferie disagiate e degradate, tra disoccupazione, piccola delinquenza, ignoranza. Non si tratta di persone cresciute in ambienti fanatici o integralisti. Anzi. Un esempio sono gli attentatori che a Parigi hanno assaltato la sede del giornale satirico Charlie Hebdo. Erano ragazzi cresciuti nella banlieu parigina, cantando hip hop e spacciando per le strade. L’integralismo lo hanno conosciuto in carcere (le carceri occidentali sono un grande veicolo per l’integralismo islamico) e si sono convertiti. L’Isis, con la sua forza ostentata e il suo ideale folle, ha un fascino immenso su queste persone allo sbando, senza valori e senza prospettive. Alla depressione del vuoto esistenziale si sostituisce il sogno di un ideale e magari anche del potere, della ricchezza che ne derivano. Ragazzi cresciuti guardando i telefilm polizieschi, pieni di violenza e sparatorie, e giocando con videogiochi basati su guerra e duelli, possono finalmente sentirsi parte di quel mondo fatto di “uomini veri” che non esitano a uccidere il “cattivo”, possono divenire gli eroi dei loro videogiochi e tradurre nella realtà ciò che prima era solo virtuale. Basta aderire al califfato e combattere in nome di Allah. Ancor più indicativa, in tal senso, è l’adesione di ragazze al califfato. Diverse giovani sono infatti fuggite dai paesi europei per raggiungere i guerrieri jihadisti e diventare le loro mogli sottomesse. Un chiaro segno della totale mancanza di stima in se stesse, quella stessa mancanza di prospettiva e di valore che porta i ragazzi a combattere. E questo è il frutto della nostra società iperconsumista e alienante, dove tutto, compresa la persona, è mercificato. Una società che produce persone tanto prive di valori e di senso dell’esistenza da arruolarsi in un progetto folle e sanguinario come l’Isis ha qualcosa di marcio in sé, qualcosa su cui riflettere profondamente e seriamente, cercando di evitare qualunquismi e ragionamenti emotivi e non razionali. Invece di continuare a lanciare slogan generalisti, sarebbe meglio fare un’analisi profonda e realistica per poi trovare opportune soluzioni. Ne sarà capace la politica occidentale? Ai posteri l’ardua sentenza.
Enrico Proserpio