di Biagino Costanzo, Socio AIDR e Docente in Scienze criminologiche per la Difesa e la Sicurezza
Nell’ultimo giorno del mese di agosto del 1870 nasceva Maria Montessori.
Presentata ad un congresso americano come “la donna più interessante d’Europa”, fu una delle prime donne a laurearsi in medicina e ad impegnarsi nella battaglia – più che mai attuale – per l’emancipazione femminile.
I suoi metodi educativi, basati sulla responsabilità e consapevolezza relazionale oltre che sulla libertà di movimento degli studenti, presto divennero un bene comune universale.
Per conciliare la rivoluzione montessoriana con lo scenario incerto del surreale anno scolastico che ci aspetta, basti tornare alle più profonde radici: dopo tutti questi mesi, la scuola si riscopre il cuore pulsante del sociale, dove ogni giovane, con il proprio bagaglio educativo e conoscitivo, contribuisce al formarsi di una nuova collettività.
Gli adulti, d’altro canto, hanno, o meglio dire, avrebbero, il nobile compito di sostenere questi ragazzi applicando un nuovo e necessario metodo, quello della “sicurezza continua”.
In questo tempo, abbiamo ascoltato ripetutamente la parola Sicurezza, ma poco è stato ribadito il concetto che non debba essere solo un protocollo di risposta, ma costituire sempre un punto di partenza, ed accompagnare tutto il ciclo di vita delle nostre azioni.
Pertanto, come rendere la sicurezza parte integrante dell’educazione? E quanto può la tecnologia aiutare questo tema?
L’implementazione (inevitabile) di questa logistica organizzativa, infrastrutturale ed economica richiede una presenza sempre più incisiva del digitale e della messa in sicurezza della rete scolastica.
La sfida risiede nel saperne cogliere il potenziale e sfruttarne i vantaggi.
Ne abbiamo avuto prova durante i mesi di lockdown: la didattica a distanza, seppur con le ormai note difficoltà, ha rappresentato, per le famiglie, il più potente impatto con la digitalizzazione formativa dei propri figli.
Ma proprio per la vocazione profondamente relazionale della scuola, è fondamentale ora uno sforzo collettivo per ripartire.
La variabile che ci penalizza – storicamente tutta italiana – è il tempo.
Troppi complimenti su come siamo stati bravi a gestire il picco epidemico, troppe lusinghe al nostro senso civico, ai balconi pieni, hanno esaltato i più: invece di stringere i denti e non fermare la macchina organizzativa per la riapertura, abbiamo ritenuto improrogabile il nostro appuntamento con il solleone, indugiando sul resto.
Ecco che nel mentre in Francia si pensava alla formazione degli insegnanti, del personale scolastico e ad informare le famiglie attraverso la diffusione del “Plan de continuité pédagogique”, un nome poco pandemico e molto montessoriano.
Inoltre, sul tema del digitale, il Paese d’oltralpe ha già identificato il sistema scolastico tra gli assi di intervento necessari per amalgamare la formazione pedagogica alla trasformazione delle competenze digitali, in un’ottica di preparazione al mercato lavorativo del futuro.
In Spagna, cugina europea da sempre affine al nostro Paese, dove gli scogli sono stati analoghi se non peggiori di quelli italiani, nel giro di pochi mesi si è facilitato il reinserimento scolastico dei ragazzi, intuendo che, molto più dei sussidi a pioggia e una tantum, fosse necessario permettere alle famiglie di tornare alle proprie attività cercando di limitare i danni che la chiusura forzata ha comportato.
Anche qui il tema della digitalizzazione è ben supportato dal punto di vista infrastrutturale e si costruisce su tre pilastri principali che sono insegnanti, famiglie ed alunni. Ad oggi quasi il 70% delle scuole dispone di accesso alle nuove tecnologie.
Analogamente in Finlandia, Regno Unito, Germania, Belgio, i sistemi scolastici definiscono il digitale come aspetto essenziale della formazione…
Insomma in molti paesi europei le lezioni frontali sono riprese e, seppur vi siano stati episodi legati a casi di contagio che hanno richiesto l’isolamento di alcuni gruppi, si è cercato di avere un piano preventivo e di risposta già disponibile.
Ora tocca a noi colmare il gap.
Tra qualche ora anche i nostri ragazzi torneranno in classe e saranno chiamati ad affrontare il cambiamento con un nuovo sguardo: ognuno sarà il compagno di banco di sé stesso seduto su un trono di ruote, si indosseranno dispositivi di protezione e le entrate in aula saranno scaglionate. La necessità di maggiori accorgimenti per sé e per gli altri, a vantaggio della sicurezza di tutti, modificherà il nostro modo di concepire le interazioni interpersonali.
Il digitale è il sostegno fondamentale di cui abbiamo bisogno per affrontare questa ulteriore sfida ed in questo, apostrofare i giovani come “nativi digitali” che fino ad ora è stato – talvolta – utilizzato con accezione negativa, non può che tornarci utile.
Porre fiducia nel fatto che i protagonisti di questa ripartenza abbiano familiarità con i temi legati alla tecnologia, è l’opportunità che tutti dobbiamo saper cogliere, permettendo che tutto avvenga, sempre, in sicurezza.
Le linee guida del Ministero dell’Istruzione hanno definito la didattica digitale come complementare alle lezioni frontali.
Forti di questo, bisogna concentrarsi dunque sui contenuti della didattica e sul colmare le lacune sociali ed educative accumulate precedentemente, in quanto, per citare proprio Maria Montessori “associarsi porta forze nuove; stimola le energie. La natura umana ha bisogno della vita sociale, tanto per il pensiero che per l’azione.”