A cura dell’Ufficio Stampa AIDR
D: Il momento complesso di pandemia ha rivisto e sta modificando le priorità del nostro Paese in modo trasversale e in tutti i settori. L’unica cosa di cui siamo certi è che non potremmo fare a meno del digitale. Quali sono le azioni che si stanno mettendo e si dovrebbero mettere in campo e quali saranno le principali criticità da superare?
R: Il nostro Paese sta attraversando uno dei momenti più drammatici, complessi e sconosciuti della sua storia recente e meno recente. Siamo tutti Lombardi, Bergamaschi, Bresciani, Milanesi, Lodigiani, Cremonesi, Piacentini solo per citare la regione e alcune delle provincie più colpite, ma ahimè potremmo andare avanti molto a lungo… E’ una battaglia, un impegno, una sofferenza, una tristezza che ci deve accomunare tutti, nessuno escluso.
I veri nemici si sconfiggono con l’unione e con l’etica e il nostro Paese da troppo tempo arranca (noi ne abbiamo parlato soprattutto sul digitale, ma sottolineando che il digitale è lo specchio dell’intera società) a causa delle divisioni e degli individualismi di varia natura e della insufficiente cultura dell’etica e del senso civico. La scuola e l’Università sono la nostra risorsa primaria che in questo senso deve contaminare positivamente l’impresa, la Pubblica Amministrazione e la società civile. Approfittiamo di questo periodo di riflessione per cercare di riscoprire i veri valori.
Fatta questa doverosa premessa, ho sempre pensato che una quota parte consistente dell’emergenza digitale italiana avesse origini fondamentalmente di tipo culturale. Per questo, almeno una dozzina di anni fa, sviluppai, con la giusta dose d’ironia, l’inedita teoria del cosiddetto “filosofo digitale”: “Come tutti sono in grado di capire, da quando esiste l’Uomo, concetti fondamentali legati all’alimentazione, alla salute (la medicina), ai trasporti e a ciò che si muove intorno a queste scienze umane, così, oggi come oggi, dovrebbe essere anche per il digitale, anche senza necessariamente essere degli addetti ai lavori”.
La teoria del “filosofo digitale” portava all’epoca a sostenere che chiunque avrebbe dovuto necessariamente confrontarsi in qualche modo con il digitale nello svolgimento del proprio lavoro (e ora non solo, come possiamo constatare dalla necessità di usufruire di servizi digitali on-line, unici disponibili nel periodo appena passato di lock-down), indipendentemente dalla propria formazione culturale e professionale. Ognuno dovrà, per questo motivo, aver chiara una serie di elementi, culturali e metodologici, riguardanti questa complessa materia, che diano supporto e maggiore consapevolezza per la risoluzione di alcune delle problematiche connesse alla gestione del proprio lavoro e della propria vita sociale in rapporto con l’Information Technology.
In questo contesto, però, è attività fondamentale comprendere e metabolizzare tre caratteristiche fondamentali del digitale (la pervasività, la dinamicità e la giovinezza) e le loro conseguenze. La pervasività comporta che ce ne dobbiamo occupare tutti – volenti o nolenti – e che dovremo farlo sempre di più; la dinamicità implica che non ce ne possiamo occupare saltuariamente, ma con continuità; e infine la giovinezza evidenzia che non abbiamo avuto ancora il tempo per maturare una completa e diffusa consapevolezza per cui fare filosofia sul digitale è di fatto una esigenza.
In passato ho spesso parlato di “contaminazione digitale” con una accezione positiva della locuzione, ma all’epoca mai avrei immaginato che il digitale sarebbe diventato uno degli strumenti fondamentali contro una vera contaminazione. L’indispensabilità del digitale l’avevo teorizzata, come detto, circa una dozzina di anni fa, ora se ne sono resi conto quasi tutti. C’è certamente una maggiore consapevolezza, per cui le azioni che erano già in campo trovano più alleati e una spinta maggiore; e poi se ne sono aggiunte numerose altre in tutti – ma proprio tutti – i settori (di fatto è impossibile elencarle) per poter affrontare gli impatti dell’emergenza.
Comunque, resto dell’idea che la criticità maggiore è sempre quella di tipo culturale; ci vogliono le competenze giuste al posto giusto. E spesso in Italia ciò non avviene.
Poi dovremmo farla finita di litigare continuamente, su ogni minima cosa e trovare una comunione d’intenti! Ricordo l’unità che si trovò nel dopoguerra, che non ho vissuto in prima persona, ma che ho studiato e che ho percepito dai racconti di chi all’epoca c’era. Ricordo l’unità vissuta dopo gli attentati a Falcone e Borsellino. Ecco, mi piacerebbe che il Paese percepisse un senso di unità, ma, al momento, la vedo dura.
D: Quindi si sta accelerando verso il “digitale” e molti processi e diversi settori saranno completamente trasformati: in modo esponenziale sta cambiando il modo di lavorare, quello di “fare scuola”, quello di comunicare e di curarsi. Ma c’è molto altro. Il rischio è di non essere pronti e di lasciare indietro le fasce deboli ed in particolare i poveri, gli anziani e i cittadini con disabilità. In questo scenario come si può ridurre il “digital divide”?
R: In questo ambito è utile aumentare, innanzitutto, proprio la consapevolezza su cosa sia “divario digitale”.
Verso la metà degli anni ‘90 il presidente USA Bill Clinton ed il suo vice Al Gore parlavano del digital divide come del “divario esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell’informazione (in particolare personal computer e Internet) e chi ne è escluso, in modo parziale o totale” (cit. Wikipedia) affermando, cioè, esclusivamente che il gap tra il cittadino “digitale” e quello “non digitale” era dovuto ad una impossibilità del secondo ad accedere alle sole tecnologie informatiche.
Ebbene, oggi questa definizione non è più corretta da un punto di vista sociologico. Infatti, se da un lato il divario tecnologico e commerciale è andato sempre più assottigliandosi – soprattutto nei paesi maggiormente industrializzati – grazie alla diffusione sempre maggiore dei device ed alla maggiore copertura della Rete Internet su scala mondiale, dall’altro si è invece sempre più espansa la differenza tra chi “sa vivere” la rete e le tecnologie e chi non ne ha consapevolezza.
Nel 2017 con alcuni collaboratori scrivemmo un articolo su una rivista scientifica di Diritto, economia e management proprio su questo argomento, dove questo concetto venne analizzato e sviluppato. Ne cito un estratto: “Il digital divide è un concetto multidimensionale, multidisciplinare ed in continua evoluzione, la cui definizione deve essere necessariamente dinamica e versatile, tale da consentire di seguire ed assimilare i continui mutamenti e le numerose opportunità innovative offerte dalla tecnologia, abilitante i processi di digitalizzazione. Con l’espressione «digital divide» ci si riferisce al divario esistente fra singoli individui, gruppi sociali, imprese e Stati nazionali, in riferimento all’accesso, reperimento e fruibilità delle informazioni, all’utilizzo consapevole delle nuove tecnologie, alla concreta disponibilità di adeguati strumenti tecnologici, all’interazione conscia con i social network, all’impiego responsabile dei social media ed al mantenimento di un’efficiente capacità di avvalersi, soprattutto tra i professionisti del digitale, delle tecnologie innovative e delle potenzialità della società dell’informazione e dei nuovi dispositivi, al trascorrere del tempo, al mutare del contesto sociale, culturale e politico ed in seguito a variazioni delle condizioni lavorative o economiche. Con la locuzione accesso, reperimento e fruibilità delle informazioni si intende riferirsi alla possibilità di usufruire di appropriata connettività, sia fissa che mobile, alla presenza, nella popolazione, di diffuse e consolidate competenze dig itali, specialmente sull’utilizzazione di Internet, nonché alla disponibilità di servizi online, specialmente pubblici, di qualità tale da sostenere ed accrescere la propagazione dei processi di digitalizzazione. Tenuto conto che oggi come oggi la civiltà di un Paese si misura anche dal grado di digitalizzazione raggiunto, o dal grado di consapevolezza digitale raggiunto, il «digital divide» genera inevitabili disuguaglianze e differenze in riferimento al quadro geostorico e geopolitico, sia sul piano individuale che collettivo, con dirette ripercussioni, molto spesso negative, sull’organizzazione sociale, sull’evoluzione culturale e sul progresso complessivo dell’intera popolazione mondiale.” (cfr. “Mind the gap!”, Luca Attias, Michele Melchionda, Maurizio Piacitelli, Alessandro Ruggiero, “Rivista elettronica di Diritto, Economia, Management”, n. 3-2017, pp. 94-103).
Posso, pertanto, affermare che l’emarginato digitale è colui che non possiede la competenza culturale, né le capacità critiche, per godere pienamente della sua “cittadinanza digitale” e partecipare, nei termini più democratici del termine, alla vita in seno alla comunità di appartenenza. L’emarginato digitale non è, perciò, in grado di godere delle opportunità che la collettività può offrirgli.
Allora, se è vero quanto ho detto sopra, è vero anche che, se in passato si è sempre ritenuto che un digital expert non potesse essere in digital divide, questa considerazione oggi non è più del tutto vera.
E purtroppo in Italia ciò è evidente forse ancor più che in altri paesi. Se analizziamo, infatti, le percentuali di utilizzatori di device per la connessione ad Internet vediamo che sono sempre in continua crescita; ma dobbiamo anche constatare con rammarico che il tasso di maturità nell’utilizzo di questi stessi device è drammaticamente basso proprio nella popolazione dei ragazzi della “Generazione Y” o “Millennial Generation” o “Net Generation” (cioè i ragazzi nati tra il 1980 e il 2000) e della “Generazione Z” (cioè i ragazzi nati da fine anni ’90 al 2010”), come dimostrato dalle statistiche di reati contro la reputazione o di cyber-bullismo o l’incapacità di saper filtrare le informazioni a vantaggio delle cd. fake news.
Piero Angela, dall’alto della sua esperienza, In un’intervista rilasciata all’Huffington Post, analizzando i problemi del nostro Paese, ha affermato: “Ci sono tante intelligenze, ma manca una intelligenza di sistema, cioè la capacità di mettere insieme queste intelligenze e farle fruttare”.
Ecco, qui sta il punto: se il Paese facesse veramente “sistema”, cioè rendesse parte integrante del proprio vivere collettivo le potenzialità offerte dalla rivoluzione digitale, e indirizzasse questa “intelligenza digitale collettiva” a fini etici, allora potremmo rivivere una sorta di “nuovo rinascimento” dove la riscoperta delle piccole cose della vita collettiva (il rispetto della legge, la cura dell’ambiente, l’opportunità di crescita professionale dovuta al merito) darebbero alla cittadinanza un “ritorno” positivo in termini di convivenza civile e benessere sociale.
D: Uno degli aspetti importanti in questo momento di transizione, che è sempre stato, tra l’altro anche un obiettivo cardine dell’associazione AIDR è la diffusione della cultura digitale nel nostro Paese. Su questo tema, quale può essere una strategia da seguire e quale il coinvolgimento del settore privato e delle associazioni?
R: La vostra, anzi la nostra associazione, visto che sono socio onorario, sta facendo un lavoro straordinario da questo punto di vista, che deve essere di esempio; soprattutto, lo sta sviluppando proprio con lo spirito di cui abbiamo parlato prima cioè “facendo sistema” con le altre organizzazioni, senza gelosie, e cercando, di volta in volta, le specifiche competenze necessarie, ispirandosi essenzialmente a principi etici.
Negli ultimi anni nel nostro Paese è stata data una forte accelerazione allo sviluppo del digitale ma, per evitare che questo abbia ricadute negative pesanti sulla società, è necessario che il processo avviato sia accompagnato da un altrettanto forte contrasto al digital divide per fare in modo che tutti siano messi nelle condizioni di accedere e utilizzare in maniera consapevole i servizi online messi a loro disposizione. E’ dunque di fondamentale importanza garantire la diffusione delle competenze digitali, sia di base che specialistiche ICT, in un paese come il nostro che è tra quelli con il maggior numero di smartphone pro-capite ma che sconta ancora lo scarso utilizzo dei servizi web da parte della popolazione.
Ma non servono interventi occasionali o dettati da logiche elettorali. Occorrono interventi strutturali accompagnati da interventi mirati, soprattutto in settori nevralgici per il futuro del nostro paese, come la scuola. Non è possibile pensare ad un incremento delle competenze digitali se si prosegue a delegare ad insegnanti non esperti l’insegnamento di queste discipline. Occorre incentivare anche iniziative volontaristiche da parte di associazioni o enti rivolte a quella fascia di popolazione ormai uscita dal mondo dell’istruzione scolastica, che insegnino ad utilizzare i servizi on-line, che auspicabilmente, anche se in modo graduale, dovrebbero essere resi obbligatori in sostituzione degli analoghi servizi analogici.
Proprio per supportare la diffusione della cultura digitale lo scorso anno abbiamo lanciato Repubblica digitale tramite una call to action a tutti gli enti pubblici e privati che condividendo con noi i principi di un Manifesto fossero disposti a mettere in campo iniziative in grado di realizzare obiettivi concreti nel giro di un anno.
Oggi l’iniziativa, che da qualche mese ha come capo progetto una risorsa molto esperta del tema, ha subito una forte trasformazione. E’ divenuta l’iniziativa strategica nazionale che ha l’obiettivo di ridurre il fenomeno dell’analfabetismo digitale e favorire lo sviluppo degli skill necessari per le nuove figure professionali; ha superato le 100 iniziative aderenti e ha aderito alla Digital Skill and Jobs Coalition europea come Coalizione Nazionale (L’Italia era una delle poche nazioni europee a non aver ancora costituito una coalizione nazionale e aderito al programma europeo, considerato una delle dieci iniziative chiave, introdotte nel 2016 dalla Commissione europea, per rispondere al bisogno sempre crescente di competenze digitali).
Inoltre, coordinata da un comitato interministeriale (Mibact, Istruzione, Lavoro e welfare, Politiche agricole e forestali, Politiche giovanili e sport, Pubblica amministrazione, Sviluppo economico, Università e ricerca) guidato dal Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, e con il supporto vari enti (Conferenza delle Regioni, UPI, Anci, Unioncamere), esponenti del mondo dell’università (come il presidente della CRUI, il coordinatore della EU Code Week), della ricerca (come il presidente della ConPER), delle imprese, delle associazioni di cittadini, Rai, Istat, osservatori che operano su quest’ambito come Osservatorio Competenze Digitali, Osservatorio Università e Impresa, Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano, CINI, GII, GRIN), sta procedendo alla definizione della strategia e del relativo piano di attuazione per la diffusione delle competenze digitali.
Ciò consentirà al nostro Paese, per la prima volta, di avere una strategia organica per le competenze digitali che integri diversi assi di intervento: Competenze Istruzione-Formazione Superiore (owner: MI, MUR), Competenze forza lavoro attiva (owner: MiSE, MiPA), Competenze specialistiche ICT (owner: MUR, MiSE), Competenze cittadini (owner: MID), pienamente in sintonia con le migliori esperienze europee.
D: SPID, PagoPA e IO sono tre strumenti che possono rappresentare oggi un punto di forza per la transizione al digitale del Paese, ma ancora sono poco diffusi e conosciuti dai non addetti ai lavori. Che tipo di azioni avete in mente per fare in modo che le PA ma anche le imprese, vi integrino servizi effettivamente utili per il cittadino?
R: Spid, PagoPA e IO sono tre progetti su cui la struttura Commissariale prima e oggi il Dipartimento e PagoPA S.p.A., sulla base delle strategie dettate dal Ministro Paola Pisano, hanno puntato tanto perché convinti dell’enorme impatto e degli innumerevoli benefici che la loro completa attuazione avrebbe potuto portare nelle vite dei cittadini. Tre progetti con storie diverse e diverse evoluzioni. IO e PAgoPA, infatti, sono pilastri del percorso di trasformazione digitale che porta ad una semplificazione per i cittadini ed un enorme risparmio economico per lo Stato.
SPID è un progetto su cui noi crediamo tantissimo. L’identità digitale resta una nostra priorità. Per noi ogni cittadino deve disporre di un’identità digitale, gratuita e facile da usare, che gli permetta di identificarsi in maniera sicura e accedere a tutti i servizi digitali pubblici. Per garantirne la diffusione stiamo lavorando fianco a fianco con l’Agenzia per l’Italia digitale e gli identity provider per semplificare le procedure di rilascio delle identità digitali senza alcun sacrificio in termini di sicurezza e promuovendo con sempre maggiore determinazione, tra le amministrazioni, l’uso delle identità digitali come soluzione per l’identificazione degli utenti dei servizi pubblici online. La pandemia ci ha insegnato che ciascuno di noi ha incredibili “abilità digitali” dentro di sé che, probabilmente, non sapeva di avere. La strada è lunga e non sarà senza ostacoli ma dobbiamo e possiamo percorrerla fino in fondo, per questo stiamo portando avanti un dialogo costante con tutte le PA al fine di aumentare il numero di servizi erogati e aumentare il numero di cittadini che hanno una identità digitale SPID.
PagoPA e IO sono, invece, due fondamentali progetti il cui sviluppo e la cui gestione è stata affidata, mediante il DL del 14 dicembre 2018 n.135, alla PagoPA S.p.A., la società pubblica vigilata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, creata nel luglio 2019 con l’obiettivo di diffondere i servizi pubblici digitali in Italia. PagoPA, sotto la guida del suo Amministratore unico, sta acquisendo competenze di livello assoluto, con l’obiettivo di diventare una delle strutture più efficienti e innovative dell’intera galassia pubblica.
Per favorirne la diffusione la società ha avviato o sta programmando diverse attività tra cui:
l’invio di recente a tutti i Comuni di una lettera a firma del Ministro Paola Pisano e del CEO di PagoPA S.p.A., Giuseppe Virgone, proprio con l’intento di ribadire l’importanza di accelerare l’adozione di questi due strumenti chiave per la digitalizzazione dei servizi pubblici
la promozione, da parte del Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione e di PagoPA S.p.A., di una serie di incontri e azioni congiunte presso tutti i Ministeri, perché sia compreso il valore di ripensare tutti i servizi al cittadino in ottica digital e user-centered, integrandoli progressivamente a PagoPA e IO.
Inoltre, per garantirne la piena evoluzione, la società si è dotata di una struttura di accounting interna e in rapida espansione, dedicata non solo a far conoscere i vantaggi di entrambi i prodotti a nuovi interlocutori all’interno delle PA e ai soggetti erogatori di servizi di pubblica utilità, ma anche a supportare fattivamente l’adesione degli Enti a PagoPA e IO, lavorando insieme ai partner tecnologici delle amministrazioni (ora, per ovvie ragioni, in modalità telematica da remoto ma – a tendere – con un affiancamento sempre più concreto).
Coerentemente con tale approccio la PagoPA S.p.A. ha già siglato un accordo con CDP che consentirà un rafforzamento del presidio sul territorio. L’accordo prevede la formazione degli agenti di CDP su IO e PagoPA oltre che la creazione di sinergie con i loro canali di comunicazione, molto capillari presso le varie tipologie di amministrazioni.
Infine, l’avvio dell’open beta di IO, con la possibilità per tutti i cittadini di installare l’app liberamente sul proprio telefono, ha consentito alla PagoPA S.p.A. di mostrare agli Enti e ai cittadini che IO non è più soltanto un progetto, ma un prodotto “pronto all’uso”.
Il lancio dell’app dei servizi al cittadino è stato accompagnato dall’attivazione di una campagna di comunicazione sui social, per presentare i core values e le principali funzionalità dell’app.
E, adesso che decine di migliaia di utenti iniziano a scoprire IO e a comprenderne i benefici, sono loro per primi a sollecitare le Amministrazioni Pubbliche a salire a bordo del progetto: un meccanismo di richiesta spontaneo, che via via si innescherà in maniera sempre più diffusa e che, ci si augura, possa trovare ascolto trasversalmente a tutti gli Enti, sul territorio e a livello centrale.