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sabato, 23 Novembre, 2024

IMPRESA, ECCO L'ITALIA COL FIATO CORTO

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di Mario Alberto Marchi

L’emergenza è l’emergenza. L’impresa italiana soffre profondamente i momenti di crisi, tantopiù quello post covid, che viene già da una faticosa ripresa degli anni bui a cavallo del 2008 e reagisce inevitabilmente con richieste tampone che insistono su costi e disponibilità di cassa.

Ad un certo punto – però- politica e impresa dovranno fermarsi e rendersi conto di quella che è la vera emergenza: uscire dal concetto di emergenza stessa e abbracciare in fretta quella di riforma.

La pandemia ha cristallizzato una condizione che l’Istat aveva fotografato a inizio anno, con dati che facevano ben capire come l’impresa italiana abbia urgente bisogno, da un lato di un ripensamento, dall’altro di una persa d’atto di proprie peculiarità, modellando su queste lo sviluppo.

È nota, ma spesso dimenticata, la tendenza a produrre sempre meno cose e sempre più servizi. Dal 2011 al 2018 si è passati dal 65,6% al 70,3%, con l’impiego 64% degli addetti. L’industria è scesa dal 20,7% del 2011 al 18,9% del 2018, con una perdita di 63.000 imprese e oltre 1 milione di addetti in 20 anni, l’edilizia dal 13,7% al 10,7%.

Fin qui le tendenze, ma è l’esame delle caratteristiche a darci suggerimenti importanti. Emerge che l’impresa italiana è legata ancora fortemente alla gestione familiare dell’impresa: nel 2018 il 75,2% delle imprese con almeno 3 addetti era controllato da una persona fisica o una famiglia. Percentuale che pur scendendo, rimane altissima, nel caso dalla grande industria ( oltre 250 dipendenti): 37%. È una caratteristica fondamentale per ridisegnare il futuro, perchè pone la prospettiva del passaggio generazionale, quindi da un lato dell’innovazione, dall’altro della capacità di immaginarla e gestirla, quindi della formazione.

Quest’ultima, se riferita al personale, mostra numeri desolanti; le imprese formano solo se costrette per legge. Al di fuori degli obblighi – che in genere guardano poco all’innovazione e più alla miglior gestione delle condizioni di lavoro, come la sicurezza – solo il 22% delle imprese si impegna.

Sul fronte della conduzione dell’azienda, il passaggio generazionale getta nello sconforto. I dati OCSE ci dicono che negli ultimi dieci anni è 182.000 laureati se ne sono andati all’estero, quasi 30.000 tra il 2019 e i 2020; questo vuol dire che se ci sarà passaggio di mano tra famigliari, non potrà avvalersi di nuove gestioni con alto livello di competenze, con una visione del futuro che vada al di là del saper ben gestire l’operatività quotidiana. Questa è l’emergenza: il futuro.

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