di Martina Grandori
Artigianale o meno, cono o coppetta, liscio o con graniglie, alla frutta o alle creme, il gelato fa impazzire tutto il mondo. Soprattutto d’estate. Sono i deliziosi compagni di pomeriggi afosi, di quelle giornate torride dove all’idea di prepararsi anche una caprese non piace e quindi ci si rinfresca con un cono che si vorrebbe non finisse mai.
Anche il cantante Mika ne va matto, a tal punto l’anno scorso ha titolato il suo singolo di punta Ice Cream, contenuto nell’album My Name Is Michael Holbrook. In tempi meno tecnologici di adesso, il gelato era sinonimo di gruppo, di appuntamento, di struscio: ci si dava appuntamento nella gelateria strategica della località di vacanza, e con un gelato in mano, oltre a deliziarsi il palato, si trascorreva il pomeriggio, si facevano amicizie, si sceglieva il lui o la lei da corteggiare per il periodo della villeggiatura. Tante le kermesse dedicate a questo dolce, il gelato in Italia è quasi al pari delle pizza o della piadina romagnola.
A Rimini, poco prima che scoppiasse la pandemia, si è tenuto Sigep, il salone internazionale della gelateria: l’impressione era quella di un caleidoscopio di sapori, dal gelato latte blu, mix di cocco, zenzero, curcuma e alga spirulina, all’avocado e aloe vera per i salutisti oppure arancia-curry e peperoncino, quello all’hummus ispirato all’omonimo piatto arabo o il Banana Java dai profumi esotici o il Black Hawaii, nero come le spiagge vulcaniche hawaiane con note di acqua di cocco e fave di cacao.
Ma queste ovviamente sono tutte sperimentazioni per gelati da palati gourmet, il mondo sceglie unanime ancora gelati classici come stracciatella, crema e yogurt: un sapore se rassicurante e già sperimentato, sicuramente piace di più.
Altro grande tema, su cui da anni si dibattono intenditori, nutrizionisti, associazioni del settore e aspiranti chef è gelato artigianale o confezionato? Chiaramente sono due tipologie completamente diverse. Quello artigianale è fatto a mano ogni giorno, con ingredienti di stagione, senza coloranti, emulsionanti e addensanti (così dovrebbe essere quello artigianale) e ha meno grassi – circa l’8% – rispetto al 20-30% di quelli industriali. Quello confezionato, squisito, invenzione geniale e sempre pronto in caso di voglie perché nel freezer di casa, è prodotto con ingredienti a lunga conservazione, stabilizzanti e aromi in quanto viene prodotto e inscatolato parecchio prima che arrivi nei frigoriferi casalinghi.
Detto questo però i grandi produttori come Algida, Magnum o Sammontana si sono guadagnati un posto d’onore nella tribuna perché i loro gelati sono diventati icone. Basti pensare al Mottarello o al Maxibon e alla famosissima e fortunata pubblicità con l’allora giovanissimo Stefano Accorsi.
E se qualcuno volesse diventare un maestro del gelato? Gelatieri si nasce o si diventa? Si diventa. A Bologna esiste una università dedicata, la Carpignani Gelato University, fondata nel 2003, 12 sedi (l’ultima a Singapore) con tanto di corsi e di master, per imparare un mestiere artigianale che è tutt’altro che scontato: si studiano matematica, chimica e fisica perché il segreto del gelato è il giusto bilanciamento degli ingredienti, ma insegnano anche a liberare la propria creatività per dare vita a nuove eccellenze.
Non poteva mancare il gelato per fido, a Ponte di Cosola, frazione di Cabella, Liguria, il ristorante del paesino si è adoperato per rifocillare anche i cani dopo le passeggiate estive con un bel gelato adatto ai cani. Quattro i gusti, ovvero vaniglia, fior di latte, yogurt e mela verde, rigorosamente accompagnati da un biscottino a forma d’osso.
Evviva il gelato, semplice, buono, sano e che piace a tutti, animali compresi.