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lunedì, 18 Novembre, 2024

IMPEACHMENT, MATTARELLA HA SEGUITO LA COSTITUZIONE.

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28 maggio 2018, Milano.
L’ultima volta che ho sentito parlare di “impeachment” ero davanti al televisore a guardare House Of Cards, la serie tv Netflix che parla delle avventure politiche di Frank Underwood. Un esempio di quando la realtà supera l’immaginazione. 
Cosa è successo? Il Presidente della Repubblica ha convocato al Quirinale Giuseppe Conte per comunicargli di non poter accettare il candidato Ministro dell’economia Paolo Savona. Ecco allora che il designato Presidente del Consiglio, seguendo le indicazioni dei suoi soci di maggioranza, ha rimesso l’incarico. Dalle 20.30 assistiamo all’ira di Salvini in diretta a Non è l’Arena, a Luigi Di Maio che telefona a Fazio, seguito poi dal segretario reggente del PD Martina. Giorgia Meloni interviene telefonicamente da Giletti e il Presidente Berlusconi, a differenza degli altri, comunica una nota scritta con tono pacato e sensato. 
Tra un post Facebook e l’altro, gli utenti online sembrerebbero tutti esperti di materia costituzionale. Prima di commentare, bisognerebbe comprendere in maniera analitica cosa ha detto Mattarella (trovate il testo alla fine dell’articolo). 
Come si evince dal suo discorso, Mattarella in queste settimane ha agevolato la nascita del Governo: ha concesso ulteriore tempo a forze politiche che in campagna elettorale erano contrapposte e ha designato un Presidente del Consiglio frutto di un accordo politico, non eletto in parlamento e non del tutto indipendente. Ha avuto delle riserve solamente sul nome di Paolo Savona a causa delle sue posizioni, al di fuori del contratto di governo, che prevedevano l’uscita dall’Euro. Ovviamente questa posizione non poteva tranquillizzare i mercati, i famosi mercati che tutti attaccano, gli stessi che legittimamente decidono i tassi di interesse e decidono se investire in Italia o meno. Come infatti ha detto Mattarella. “Ho chiesto, per quel ministero, l’indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, coerente con l’accordo di programma. Un esponente che – al di là della stima e della considerazione per la persona – non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell’Italia dall’euro. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso, nell’ambito dell’Unione europea, per cambiarla in meglio dal punto di vista italiano.” 
Come è stato ricordato più volte in queste ore, l’articolo 92 della Costituzione recita: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”.

La nomina dei ministri, secondo la giurisprudenza costituzionale, non è una mera formalità: il capo dello stato può infatti anche opporsi alla designazione di un ministro da parte del presidente del Consiglio e delle forze di maggioranza e chiedere che venga indicato un altro nome.
Oltre alla giurisprudenza costituzionale, anche i precedenti storici indicano come la nomina dei ministri non vada intesa come mero atto di ratifica.

Per il primo precedente bisogna risalire al 1994, quando Silvio Berlusconi, appena sceso in politica, vinse le elezioni. Berlusconi propose al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro il nome di Cesare Previti, suo avvocato, come ministro di Grazia e Giustizia.

Il secondo precedente risale al 2001: il capo dello stato Carlo Azeglio Ciampi rifiutò il nome di Roberto Maroni come ministro della Giustizia del secondo governo Berlusconi.

Maroni venne dirottato al ministero del Lavoro, mentre alla Giustizia andò un altro esponente della Lega, Roberto Castelli.
L’ultimo precedente è più recente ed è del 2014: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sconsigliò a Matteo Renzi di nominare il procuratore di Reggio Calabria Nicola Gratteri come ministro della Giustizia.
La motivazione fu che sarebbe stato inopportuno affidare il ruolo di guardasigilli a un magistrato ancora in carica. Renzi accettò l’obiezione di Napolitano e nominò alla Giustizia Andrea Orlando.
In tutti e tre i casi, quindi, il presidente del Consiglio incaricato non si oppose alle decisioni del capo dello Stato. Parlare di impeachment è proprio da insensati. 

Simone Tavola,
Redazione Milano

Dopo aver sperimentato, nei primi due mesi, senza esito, tutte le possibili soluzioni, si è manifestata – com’è noto – una maggioranza parlamentare tra il Movimento Cinque Stelle e la Lega che, pur contrapposti alle elezioni, hanno raggiunto un’intesa, dopo un ampio lavoro programmatico.

 

Ne ho agevolato, in ogni modo, il tentativo di dar vita a un governo.
Ho atteso i tempi da loro richiesti per giungere a un accordo di programma e per farlo approvare dalle rispettive basi di militanti, pur consapevole che questo mi avrebbe attirato osservazioni critiche.
Ho accolto la proposta per l’incarico di Presidente del Consiglio, superando ogni perplessità sulla circostanza che un governo politico fosse guidato da un presidente non eletto in Parlamento. E ne ho accompagnato, con piena attenzione, il lavoro per formare il governo.
Nessuno può, dunque, sostenere che io abbia ostacolato la formazione del governo che viene definito del cambiamento. Al contrario, ho accompagnato, con grande collaborazione, questo tentativo; com’ è del resto mio dovere in presenza di una maggioranza parlamentare; nel rispetto delle regole della Costituzione.
Avevo fatto presente, sia ai rappresentanti dei due partiti, sia al presidente incaricato, senza ricevere obiezioni, che, per alcuni ministeri, avrei esercitato un’attenzione particolarmente alta sulle scelte da compiere.
Questo pomeriggio il professor Conte – che apprezzo e che ringrazio – mi ha presentato le sue proposte per i decreti di nomina dei ministri che, come dispone la Costituzione, io devo firmare, assumendomene la responsabilità istituzionale.
In questo caso il Presidente della Repubblica svolge un ruolo di garanzia, che non ha mai subito, né può subire, imposizioni.
Ho condiviso e accettato tutte le proposte per i ministri, tranne quella del ministro dell’Economia.
La designazione del ministro dell’Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme, per gli operatori economici e finanziari.
Ho chiesto, per quel ministero, l’indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, coerente con l’accordo di programma. Un esponente che – al di là della stima e della considerazione per la persona – non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell’Italia dall’euro. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso, nell’ambito dell’Unione europea, per cambiarla in meglio dal punto di vista italiano.
A fronte di questa mia sollecitazione, ho registrato – con rammarico – indisponibilità a ogni altra soluzione, e il Presidente del Consiglio incaricato ha rimesso il mandato.
L’incertezza sulla nostra posizione nell’euro ha posto in allarme gli investitori e i risparmiatori, italiani e stranieri, che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende. L’impennata dello spread, giorno dopo giorno, aumenta il nostro debito pubblico e riduce le possibilità di spesa dello Stato per nuovi interventi sociali.
Le perdite in borsa, giorno dopo giorno, bruciano risorse e risparmi delle nostre aziende e di chi vi ha investito. E configurano rischi concreti per i risparmi dei nostri concittadini e per le famiglie italiane.
Occorre fare attenzione anche al pericolo di forti aumenti degli interessi per i mutui, e per i finanziamenti alle aziende. In tanti ricordiamo quando – prima dell’Unione Monetaria Europea – gli interessi bancari sfioravano il 20 per cento.
È mio dovere, nello svolgere il compito di nomina dei ministri – che mi affida la Costituzione – essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani.
In questo modo, si riafferma, concretamente, la sovranità italiana. Mentre vanno respinte al mittente inaccettabili e grotteschi giudizi sull’Italia, apparsi su organi di stampa di un paese europeo.
L’Italia è un Paese fondatore dell’Unione europea, e ne è protagonista.
Non faccio le affermazioni di questa sera a cuor leggero. Anche perché ho fatto tutto il possibile per far nascere un governo politico.
Nel fare queste affermazioni antepongo, a qualunque altro aspetto, la difesa della Costituzione e dell’interesse della nostra comunità nazionale.
Quella dell’adesione all’Euro è una scelta di importanza fondamentale per le prospettive del nostro Paese e dei nostri giovani: se si vuole discuterne lo si deve fare apertamente e con un serio approfondimento. Anche perché si tratta di un tema che non è stato in primo piano durante la recente campagna elettorale.
Sono stato informato di richieste di forze politiche di andare a elezioni ravvicinate. Si tratta di una decisione che mi riservo di prendere, doverosamente, sulla base di quanto avverrà in Parlamento.
 

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