di Stefano Sannino
Apprezzare la solitudine, in una società che ci ha insegnato a circondarci sempre di persone, non è affatto semplice né scontato, eppure per ognuno di noi arriva un momento in cui la solitudine è necessità, esigenza, assoluta certezza.
In un mare di brusii informi e confusi, nel caotico abbraccio di una città metropolitana e perfino nel proprio gruppo di amici ci si può sentire soli; non di una solitudine fisica, ma di una solitudine emotiva, psicologica. Se la società infatti, ci ha sempre insegnato a non rimanere mai soli per evitare di interrogare noi stessi circa noi stessi, ecco che ognuno di noi è stato disposto a sacrificare la propria solitudine per accompagnarsi ad altri individui che nulla hanno a che fare con noi: abbiamo, in poche parole, sacrificato la nostra solitudine fisica, in cambio di una solitudine ben peggiore, quella emotiva.
E a quale prezzo si è sacrificata la propria solitudine? Molti di noi decidono di accompagnarsi a gente superficiale, a gente stupida, a gente che fa dell’apparire la sostanza fondamentale dell’esistenza senza dare alcunché in cambio a noi, se non riempire il vuoto di un momento della nostra vita, solamente perché abbiamo – tutti – paura di sentirci soli.
Ma cosa c’è di davvero terribile nella solitudine? E cosa invece c’è di rassicurante nell’abbraccio di un nostro simile?
Di spaventoso, nella solitudine, c’è sicuramente la prospettiva di una introspezione inevitabile, che a sua volta ci porterebbe ad essere troppo onesti con noi stessi. Mediante la solitudine e l’analisi che ne deriva, potremmo scoprire elementi della nostra vita che non ci piacciono, o che ci fanno stare male inconsciamente. Ed ecco allora che riempiamo ogni momento di solitudine con la compagnia delle persone, come se queste potessero aiutarci in qualche modo a sopprimere quella sensazione di inadeguatezza che ci affligge. Ma come possiamo pensare di risolvere ciò che non ci piace, se prima non lo analizziamo in noi stessi? Come possiamo pensare di evitare la solitudine fino al giorno della nostra morte? E sopratutto, perché riempire la solitudine con la superficialità solo per paura di rimanere soli?
Piuttosto, proviamo a riempire la solitudine solo con la compagnia di coloro che ci restituiscono un valore aggiunto, che ci insegnano qualcosa, che ci fanno star bene pur senza annichilirci: solo così evitare la solitudine diviene un’attività utile alla nostra vita, posto comunque che, la solitudine in sé e per sé, è assolutamente inevitabile per ciascuno noi.
E allora, quando arriverà quel momento in cui la solitudine si farà strada nella nostra vita, non rifuggiamola, ma abbracciamola come maestra di vita, poiché solo per mezzo della solitudine, dell’analisi e della riflessione, saremo in grado di individuare ciò che ci rende infelici e ciò che invece ci dà la forza di alzarci ogni mattina.