di Gabriele Rizza
L’Ucraina si aggiudica per la terza volta la vittoria dell’Eurovision song contest, la Champions league della musica, con il brano della Kalush Orchestra. A qualcuno potrà suonare come scontato e fin troppo politicamente corretto, a qualcun altro come una giusta sensibilizzazione verso la cultura e la lingua ucraina messa in pericolo dall’ombra russa. Che la verità stia in una o nell’altra visione non cambia il significato intrinseco della vittoria, culturale, prepolitico e politico. Non è stata la giuria a premiare la Kalush Orchestra, anzi, questa aveva propeso per il cantante inglese Sam Ryder, l’Ucraina deve invece il primo posto al voto in massa del pubblico votante. La manifestazione tenutasi a Torino aveva suscitato non poche polemiche a seguito dell’appello sul palco della band “ad aiutare l’Ucraina”, cosa che poteva portare all’esclusione della band dal concorso in quanto per regolamento sono vietati i messaggi politici. Tuttavia, l’appello “ad aiutare” è stato letto in senso umanitario e non politico, e sicuramente in questa ottica va interpretato l’appoggio del pubblico. Non un’idea politica, bensì umanitaria – culturale. Il messaggio, però, è ben più profondo della semplice sensibilità verso una catastrofe umana quale è una guerra: l’Occidente certifica quanto la sua arma più potente non siano le bombe e i droni americani, quanto la cultura ludica e l’intrattenimento, il way of life. Per fare un esempio recente di come l’intrattenimento creativo – quello che più rappresenta lo stile di vita dei giovani, futuro dell’Occidente – sia il tempio dell’identificazione simbolica della civiltà occidentale, bisogna andare al 2015 e alle stragi di Parigi. I terroristi dell’ISIS puntavano a fare il colpo grosso allo stadio Saint Denis, sia per numero di morti che per valore simbolico. Invece, tutta la stampa occidentale e il mondo dei social hanno messo al centro il Bataclan, che in quel triste giorno ospitava un concerto. Certo, per fortuna il parziale fallimento dell’attentato allo stadio ha evitato lo spargimento di sangue come previsto dai terroristi, ma resta che, per simbolo e idea, lo stadio era la star degli attentati di quella notte. Noi non ce ne siamo accorti, dando priorità simbolica al Bataclan, esaltando l’espressione artistica, l’intrattenimento, un modello di vita. Da quel giorno la risposta occidentale all’ISIS è stata forte come non mai, come nemmeno per Charlie Hebdo. L’Eurovision conferma come il way of life sia lo strumento dell’Occidente che tiene coesi i popoli, più della politica, più delle forme dei governi, più delle Costituzioni. In una guerra moderna è l’immaginario ideale che fa sopportare ai popoli i sacrifici, di vite o di soldi. La vittoria sulla Russia passa anche da qui, come difesa e come attacco. Come verrà scossa la società russa quando a lungo andare i giovani delle grandi città saranno privati di quel simbolismo culturale e ludico che li aveva avvicinati all’Occidente? Viaggi, moda, prodotti, catene di ristoranti, socialnetwork e diritti civili, solo per dirne alcune, hanno una fascinazione che nel corso dei decenni hanno conquistato tutti i continenti, dall’Africa all’Asia. Il Way of life è la vera testa di ponte dell’Occidente, tra consumismo e libertà. Non a caso i governi più restii all’occidentalizzazione economica e culturale hanno da tempo espulso tante ONG dal proprio territorio. Lo hanno fatto anni fa la Russia di Putin e l’Ungheria di Orban. Di contro, studiare la reazione russa alla propria emarginazione culturale in atto è anche un significativo test per vedere quanto poi il nostro stile di vita possa mettere davvero radici profonde, sostituendosi all’identità cristiano ortodossa russa, all’amor patrio, alla storia.