di Gabriele Rizza
Per far stare “simpatiche” le tasse agli italiani si inventano di tutto, o peggio, tentano di mistificare la realtà propagandando giustizia e buoni sentimenti facendo leva sui sensi di colpa e sulla naturale inclinazione del popolo italiano a dividersi e a combattere tra loro. L’ultima trovata viene dall’Agenzia delle entrate, per mezzo di una riflessione del direttore dell’agenzia, Ernesto Maria Ruffini, sulle colonne del giornale Avvenire: “Cosa penserebbe Gesù Cristo delle tasse che, se bene utilizzate dallo Stato, non sono destinate alla conquista del mondo, ma alla costruzione del bene comune, per garantire spese sanitarie, assistenza, istruzione?”, chiosa il direttore. Pensiero nobilissimo, giusto, racconta l’Italia che dovrebbe essere, ma che purtroppo non è. C’è sicuramente chi volta le spalle al prossimo, pensando a gonfiare le proprie tasche e a nascondere alla comunità i guadagni tenendoli al sicuro in paradisi fiscali o prendendo la residenza all’estero, c’è però un senso di amore per il prossimo che viene tradito per primo dallo Stato. Perché se Gesù ha spazzato via i mercanti dal Tempio, lo Stato con i mercanti si mostra così tanto accondiscendente: pensiamo alle grandi multinazionali che pagano un decimo delle tasse che dovrebbero pagare, alla mafia che ancora svolazza per il Paese con lo spaccio, il riciclaggio, gli appalti e che ha tante commistioni con la cosa pubblica.
Cosa penserebbe Gesù Cristo del lavoro sulla fronte tartassato di tasse e burocrazia, dei suicidi della povera gente a causa delle cartelle di Equitalia durante la caccia alle streghe del governo Mario Monti, delle tasse di scopo che servono solo a coprire voragini di bilancio e non a garantire un buon servizio? C’è qualcosa di profondamente diabolico (altrochè cristiano) nel modo di agire dello Stato: essere forti con i deboli e deboli con i forti. La caduta della legittimità delle tasse potrebbe cadere qui.
Non basta il condizionale di Ernesto Maria Ruffini del “se bene utilizzate dallo Stato”, conta chi paga e quanto paga, conta la condizione di partenza di chi è chiamato a versare il suo sacrosanto contributo. In fondo, se l’amore cristiano è a favore delle tasse, al tramonto dell’Impero romano furono proprio i cristiani d’oriente a ribellarsi al continuo aumento delle tasse. L’Agenzia delle entrate tenga anche conto di questa forma di cristianità, e ne faccia tesoro.