di Gabriele Rizza
A distanza di più di un anno dalla comparsa del Covid – 19 nelle nostre vite gli stili di vita dettati dalle restrizioni sono ormai percepiti come normali. Ci siamo abituati alle mascherine, alle autocertificazioni, a non poter andare a trovare un parente in ospedale, al coprifuoco, ai ristoranti chiusi e a non viaggiare. Se non è normale, ci siamo arresi per necessità alla quotidianità. Tutto molto umano, se non fosse che alle nuove abitudini prese, non corrispondono abitudini economiche in grado di sostentare come prima i settori più colpiti.
Il crollo del turismo è l’emblema della crisi pandemica: i flussi turistici globali sono calati fino all’80%. Critica la situazione in Italia, dove la perdita del settore nel 2020 è stata pari a 50 miliardi di euro, tra alberghi, commercio, spese alimentari. Nel solo periodo giugno – settembre, il più decisivo, le perdite sono state di 11,2 miliardi, come riportato di recente da Coldiretti. Non è bastato il turismo estivo autoctono a risollevare le sorti del settore, perché i turisti stranieri – specie americani, inglesi e cinesi – hanno una capacità di spesa maggiore, comprano più specialità alimentati e souvenir. A soffrire più di tutti sono il turismo legato alle città d’arte e alle località balneari.
Il crollo legato alla pandemia mette in risalto criticità e accelera debolezze strutturali del nostro sistema turistico, che potrebbero essere finalmente discusse e riprogrammate oggi per il domani. L’Italia è troppo legata al turismo artistico e balneare, non ha ancora colto le enormi potenzialità del turismo enogastronomico, green, montano, degli agriturismi. Tendenza testimoniata anche dalla polarizzazione sempre più netta nell’ultimo decennio: cinque regioni rappresentano il 58% del flusso turistico nazionale. La mancanza di diversificazione dell’offerta turistica è un elemento di forte debolezza nel momento in cui nuove popolazioni si agganciano al treno del turismo globale e le richieste e i desideri di esperienze sono sempre più variegati. Peccato mortale per un paese come l’Italia che ha nella varietà di paesaggi, gastronomia e cultura il suo punto di forza.
Inoltre non si è riusciti a creare un turismo fatto di soggiorni più lunghi, domina infatti il turismo del weekend che offre un contributo molto scarso al potenziale indotto. Tuttavia non basta solo pensare e riprogrammare, lasciare ogni responsabilità allo spirito imprenditoriale degli albergatori e dei commercianti: la mancanza di collegamenti ferroviari, portuali e aeroportuali è la più grande palla al piede del turismo italiano. Se vogliamo che un tedesco dalla riviera possa spostarsi durante la sua vacanza dalla riviera romagnola al Cilento, dalla Calabria al Salento, occorrono strumenti che ad oggi non ci sono. I soldi dall’Europa stanno arrivando, la lungimiranza del governo sarà messa a dura prova.