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sabato, 16 Novembre, 2024

IL TEATRO AL TEMPO DEL COVID-19: PRIVATO D’ANIMA E DI SENSO

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Susanna Russo

 

Il 25 Ottobre 2020 Angelo Argento, Presidente di Cultura Italiae, ha pubblicato una lettera a cui col passare dei giorni si sono aggiunte decine di migliaia di firme.

Tale lettera è indirizzata al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al Ministro per i Beni e le Attività Culturali e per il turismo Dario Franceschini.

Più che una lettera, quella in questione è un vero e proprio appello, ma a voler vedere un po’ più in profondità, è anche una dichiarazione d’amore e di sconforto.

L’appello rivolto ai vertici è quello di non permettere, ai tempi del COVID 19, che un intero settore di lavoratori, partendo da coloro che hanno a che fare con lo spettacolo dal vivo, sia inascoltato e divenga invisibile.

L’amore dichiarato è quello nei confronti dell’arte, soprattutto quella che trova la sua espressione nell’incontro con il pubblico, mentre lo sconforto sta tutto nel fatto che per quanto sia forte la passione, non è più sufficiente per sfamarsi.

La lettera è ordinatamente divisa in sei punti, quasi che presentare in modo ordinato e meticoloso la richiesta, possa garantire una risposta chiara e precisa.

Proprio così, perché i lavoratori dello spettacolo vagano confusi e disorientati da un anno, si aggirano tra sale prove dove non si sa bene per cosa e per quando si provi, e teatri vuoti, che senza pubblico perdono anima e senso.

Il sesto punto di questa lettera cita testualmente: “chi opera nel settore della cultura è consapevole dell’importanza che essa ricopre soprattutto in momenti difficili come questo”; e viene così da chiedersi se davvero questa sia una consapevolezza, o se, più verosimilmente, non resti che sperarlo intensamente.

Il sesto punto termina così: “Il teatro e il cinema non possono fermarsi perché sono la riserva invisibile di senso, per la vita pubblica ed individuale dei nostri concittadini. Tuteliamo la parte visibile di questa riserva di senso”.

La, così definita, parte visibile, composta da artisti, ma anche da tecnici, facchini, ed organizzatori, ad Ottobre 2020 è scesa in piazza vestita a lutto con 500 bauli vuoti, bauli che di solito contengono tutto il materiale utile per lo spettacolo, ma questa volta erano pieni “soltanto” di grandi aspettative, ma anche rabbia e un principio di rassegnazione.

Si chiedono al governo nuove regole e nuove tutele che possano consentire la ripartenza di spettacoli ed eventi, ma non attraverso la “Netflix dei Teatri” suggerita dal Ministro Franceschini, ipotesi che più contraddittoria non si potrebbe.

Perché il teatro è dal vivo, se no sarebbe cinema, ma il cinema è altro.

Si tratta di scegliere, e chi sceglie il palcoscenico sceglie il “qui e ora”, sceglie il coraggio e l’imperfezione, il rischio e l’imprevedibilità.

Ci hanno provato gli attori a trasformare la loro arte in altro, ad impacchettarla in video amatoriali e adattarla allo schermo di un cellulare, ma è come chiedere ad un cuoco d’osteria di cucinare per un ristorante chic: perde di autenticità, di genuinità e di credibilità.

Si tratta di scegliere, il teatro è una scelta, e chi la compie in modo deciso e risoluto, e la porta avanti per anni, poi si rifiuta di scendere a compromessi.

La scelta in questione è pregna di audacia e sacrificio da sempre, gli artisti, soprattutto nel nostro Paese, non hanno vita facile, ma da un anno a questa parte scegliere di appartenere a questa categoria sembra quasi follia.

I bauli, le lettere, le dichiarazioni e le preghiere comunque non sono servite a niente, gli artisti restano a casa, a riflettere su come, magari un giorno, portare in scena tutta la frustrazione e il disincanto che ora li attanaglia.

Per di più i lavoratori dello spettacolo si sentono presi in giro da un ulteriore fatto: sempre ad Ottobre 2020 è uscita un’analisi effettuata da AGIS che dimostra che dalla riapertura dei teatri, dopo il primo lockdown generalizzato della primavera scorsa, 1 spettatore su 347.263 abbia contratto il virus in un lasso di tempo che ha visto sulla scena ben 2782 spettacoli; viene quindi da chiedersi se a questo punto i teatri non siano addirittura più sicuri di casa nostra.

Comunque c’è da dire che un tentativo il Ministro per i Beni Culturali l’ha fatto: ha permesso la nascita di un tavolo permanente per lo spettacolo ai tempi dell’emergenza COVID-19, per consentire un dialogo che permetta di adottare misure condivise.

Il fatto è che gli attori, i dialoghi, necessitano di tornare a farli sulla scena, che non sono più disposti a sedersi intorno ad un tavolo a cercare compromessi.

Ora su quel tavolo vorrebbero salirci come fosse un piccolo palcoscenico, e da lì ricominciare a recitare, anzi a lavorare.

 

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