di Stefano Sannino
Arrivato il 16 Settembre in Italia, Dune è oggi uno dei film più visti al botteghino e tra i più acclamati dalla critica. Non è però il cast stellare, formato da Timothée Chalamet, Jason Momoa, Zendaya e Stellan Skåskard solo per citare alcuni nomi, ad affascinare ed intrigare lo spettatore, quanto piuttosto un senso di onnipresente angoscia che risuona per tutta la durata della pellicola.
Ma l’angoscia trasmessa da Dune non è provocata dagli straordinari paesaggi o dagli effetti speciali, e nemmeno dalle magistrali musiche composte da uno straordinario Hans Zimmer, quanto invece da quel senso di vicinanza di quella “galassia lontana” che, forse, tanto lontana non è.
Dune racconta infatti di un pianeta deserto dove due famiglie si scontrano per il controllo della preziosissima risorsa, la “spezia”, che conferisce immense ricchezze e potere a chiunque riesca ad estrarla dalla sabbia e a venderla in tutta la galassia. Ma il mondo in cui le vicende di Dune si diramano non è un mondo ricco, anzi. Arrakis è un pianeta morto, sabbioso, deserto, in cui la vera ricchezza è l’acqua ed il riparo dall’insopportabile caldo emanato dal vicino sole ed incrementato dallo sfruttamento delle poche risorse presenti sul pianeta. Ecco allora che guardando le vicende della famiglia Atreides su Arrakis, lo spettatore può vedere anche le vicende delle nostre future generazioni qualora il nostro rapporto con l’ambiente non cambi notevolmente.
In fin dei conti, quel senso di angoscia che si prova per tutta la durata del film, è dato probabilmente dal fatto che la pellicola ci racconta di un’impossibilità di fondo nel cambiare il proprio rapporto con l’ambiente tipica dell’essere umano. Arrakis è un pianeta quasi morto, eppure gli uomini continuano a scontrarsi e a massacrarsi per poter sfruttare quelle poche risorse rimaste, incuranti delle popolazioni indigene e delle specie animali e vegetali locali. Ecco allora che la nuova pellicola di Villeneuve, non ci racconta soltanto di un universo sci-fy a cavallo tra il futuro ed il passato, ma ci mostra anche la natura umana in tutta la sua cruda vulnerabilità, esasperando dei tratti che però, senza dubbio, abbiamo anche oggi. La corsa allo sfruttamento delle risorse, l’amore per il progresso senza limiti, la cecità davanti alla sofferenza del mondo in cui viviamo: ecco quali sono i temi principali di questo film straordinario, che è risultato capace di attrarre e spaventare il pubblico grazie ad un impianto visivo e sonoro straordinario, ma anche e sopratutto grazie al racconto di una natura umana problematica, contraddittoria, distruttiva. Messi davanti all’evidenza che il problema dell’Universo probabilmente siamo noi, non possiamo far altro che farci prendere dall’angoscia e seguire l’invito che ci viene sussurrato da questo film: cambiare il proprio rapporto con l’ambiente, significa cambiare il proprio rapporto con se stessi, significa, senza mezzi termini, salvare il nostro futuro e non essere costretti ad abitare un pianeta deserto in cui per sopravvivere è necessario uccidere.