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venerdì, 22 Novembre, 2024

Il Serpente: storia di un simbolo (1)

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di Stefano Sannino

Se c’è un simbolo a cui siamo abituati tutti, o quasi, a pensare in modo univoco, questo è senza dubbio il serpente, complice l’immaginifico religioso monoteista a cui esso fa inevitabilmente riferimento. 

A discapito di quello che si può essere portati a credere dal racconto biblico, però, le origini di questo simbolo ed i mitemi ad esso collegati sono molto più variegati di quanto non si pensi. 

Per comprendere meglio questo soggetto è necessario partire proprio dalla Bibbia nella sua versione originale, ed in particolare quindi dal testo ebraico. In particolare, è interessante cercare di delineare come l’immaginifico antico si sia evoluto, nel contesto del racconto biblico, a partire dai mostri marini per arrivare al serpente così come lo conosciamo oggi. 

A tal proposito, il lessico di riferimento è legato a due lessemi particolari, ossia tannînim (masc. plur. di tannîn), traducibile con “mostro marino” e tannîm (masc. plur.), traducibile con “sciacallo” o “cane desertico”. In particolare, va notato che il termine tannînim compare per la prima volta nel Salmo 74 (584 a.C. – 520 a.C.) e ripreso poi in Genesi 1,21 nella descrizione del mostro biblico Leviathan. Il lessema viene poi impiegato nel libro dell’Esodo, nella vicenda dello scontro tra Mosé, Aronne ed i maghi egiziani. È proprio grazie al libro dell’Esodo che possiamo tracciare una correlazione tra il sostantivo plurale tannînim ed il serpente, citato nel capitolo 4 con il sostantivo nahas (che è in ebraico il sostantivo più comune per tradurre la parola “serpente”, appunto). In questo caso il nahas è descritto come un mophet (prodigio), esattamente come avviene nell’Iliade di Omero, ove l’apparizione del Serpente, viene descritta quale τέρας (prodigio). La parola nahas pare avere inoltre una radice comune con un altro verbo ebraico, nihēs (divinare) che pone questo animale in stretta relazione con l’immaginifico greco. 

Vi è poi in ebraico un altro termine per designare il serpente, ossia peten (vipera). Da notare, in questo caso, è come sia l’ebraico che il greco facciano una distinzione tra i serpenti in genere e la vipera in particolare. Il greco, de facto, designa la vipera con il nome εχιδνα, divenuto poi anche nome proprio di una entità serpentiforme omologa ed il serpente come οφις o δρακον. Il parallelismo tra il peten ed il tannîm è evidenziato da numerose fonti, come il Salmo 91, utilizzato a Qumran come esorcismo contro i demoni. Alcuni linguisti, inoltre, ritengono che proprio il lessema peten possa aver originato il greco Πυθον, nome che designa sia il serpente che l’entità abitante Delfi prima della conquista da parte del dio Apollo e della costruzione dell’oracolo. 

Ciò che però rende la Bibbia un casus studi particolare è il fatto che la chaoskampf, ossia lo scontro tra le entità con aspetto serpentiforme e le divinità del cielo, non sia chiara come in altre tradizioni. Se, per esempio, nella Teogonia di Esiodo è perfettamente chiaro lo scontro tra Tifone e Zeus e se nell’Enuma Elish quello tra Tiamat (e dunque Bašmu) e Marduk è ben descritto e delineato, nella Bibbia lo scontro tra il Leviatano e Dio può essere solamente immaginato. 

Quello che è certo è che l’aspetto serpentiforme è la prerogativa di qualsiasi avversario che si rispetti. 

Non di tanto facile attribuzione è invece la caratterizzazione di questi mostri: alcuni studiosi, tra cui Vernant, evidenziano la connessione tra il campo semantico della spira del serpente con la nozione greca di mêtis. A tal proposito, lo stesso Nonno di Panopoli parla di un skolión polymorphon hólon démas, rimettendosi sulla scia della tradizione biblica, ove nella versione greca il Leviatano è descritto come aqallaton (attorcigliato). La sfera semantica più comunemente associata al serpe/mostro marino è però quella della bocca/ventre o comunque dell’inghiottimento, come evidenziato dalle vicende di Giona. Giona, profeta sui generis che si rifiuta di compiere la volontà di Dio, viene indotto ad un sonno profondo mentre la sua nave si scaglia contro una tempesta. Caduto in acqua, viene inghiottito per tre giorni e tre notti da un “grande pesce”. Il verbo ebraico che indica l’atto del dormire, yarkâh, può però indicare anche la discesa nello sheôl (inferi), fatto evidenziato anche dal fatto che i lessemi indicanti gli abissi, mesûlah e tehôm, sono connessi tanto allo sheôl quanto alle fauci della bestia. Il “grande pesce” delle vicende di Giona, per questo motivo, potrebbe essere associato tanto ad una catàbasi, ossia ad una discesa negli inferi, quanto ad una funzione salvifica (se non fosse stato inghiottito, Giona sarebbe morto per certo). È per questo motivo, si crede, che nelle raffigurazioni medioevali Giona è rappresentato calvo e nudo, segni iconografici indelebili di una ri-nascita. 

Per quanto concerne i riferimenti alla bocca/ventre, bisogna evidenziare quanto riferito da Oppiano nell’Helieutica, dove si definisce il ventre del mostro quale gastròs chaós legando dunque a questa parte anatomica specifica un’idea di enormità e mistero ben combaciante con il mitema della catàbasi sopra riportato. 

Prima di giungere, nel prossimo articolo, alla descrizione del lessico e dunque dell’immaginifico greco, possiamo concludere questo nostro primo passo nella storia del serpente con la consapevolezza che, qualunque sia la sua origine e la sua natura, esso non è associato all’idea di male, ma piuttosto ad un ordine cosmico alternativo, talvolta perfino pregresso a quello degli dèi celesti e dimenticato perfino da quelle popolazioni responsabili della scrittura di quei testi che oggi consideriamo sacri. 

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