di Alessandro Giugni
I primi anni del XX secolo sono stati determinanti per l’affermazione della fotografia come vera e propria forma d’arte. Correnti espressive quali il pittorialismo, una delle massime espressioni del quale furono i magnificenti ritratti realizzati da Félix Nada, ebbero un ruolo chiave nella nascita della moderna fotografia documentale. Alfred Stieglitz fu il primo a parlare di straight photography, termine questo con il quale egli volle identificare quel nuovo filone artistico che andava affrancandosi definitivamente dalla pittura. In tale corrente si inserirono tutte quelle fotografie che mettevano a nudo la realtà, mostrandola senza alterazioni di sorta, e che erano dedicate al racconto delle più importanti questioni sociali dell’epoca.
Tra i fondatori della fotografia documentaria contemporanea troviamo Edward Steichen, pittore convertitosi, dapprima, alla fotografia pittorialista e, poi, alla straight photography. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, Steichen fu nominato direttore del dipartimento di fotografia del MoMA. E fu così che, nel 1955, egli organizzò una delle più note mostre di tutti i tempi: The Family Man. Una mostra, questa, alla quale presero parte, con circa 500 immagini, fotografi provenienti da 68 Paesi e che venne iscritta nel registro UNESCO della Memoria del Mondo. A risultare particolarmente innovativa per il tempo fu la scelta di incentrare un’esposizione fotografica internazionale sul concetto di famiglia, un tema universale in grado di raccontare, grazie alle diverse rappresentazioni dei vincoli famigliari fornite dagli artisti partecipanti, la percezione condivisa in ogni angolo del mondo del senso di famiglia.
A colpire i visitatori fu un particolare dettaglio: un fotografo di soli ventisette anni era presente in questa mostra con addirittura quattro fotografie. Edward Steichen aveva scorto in quel giovane un talento fuori dal comune. E fu proprio grazie alla preveggenza dell’allora direttore del MoMA che ebbe inizio la carriera di uno dei più noti fotografi della storia: Elliott Erwitt.
Il linguaggio fotografico di Erwitt si contraddistingue per una molteplicità di sfaccettature sconosciute a qualsiasi altro fotografo e che hanno, dunque, contribuito a rendere le sue fotografie uniche. La vena ironica, metaforica, in certi casi irriverente, di molti suoi scatti si alterna alla visione profondamente romantica che contraddistingue la maggior parte dei suoi lavori, dando, così, vita a un linguaggio unico e irripetibile.
A colpire ogni singola persona che all’epoca visitò The Family Man fu proprio una fotografia di Erwitt, la quale divenne altresì una delle immagini di presentazione della mostra stessa. Cliccando qui è possibile apprezzarne la bellezza: una giovane madre (l’allora moglie di Erwitt) siede a bordo di un grande letto mentre rivolge un dolce, incantato, sguardo alla neonata; al contempo, il gatto di famiglia, posto sull’altro lato del frame, osserva incuriosito la scena. Un perfetto connubio di quell’ironia e romanticismo che citavamo poc’anzi, una fotografia che perfettamente riassume i tratti distintivi del linguaggio fotografico, o, forse, sarebbe meglio dire “poetico”, di Erwitt.
Appuntamento alla prossima settimana per la prosecuzione dello speciale dedicato al tema della famiglia nella visione di Elliott Erwitt.