di Veronica Graf
Anche se molti non lo immaginano, il nostro Paese è il maggior produttore europeo di riso di qualità, purtroppo quest’anno il volume dei raccolti è calato del 10% sempre a causa degli effetti del cambiamento climatico, a renderlo noto i dati diffusi da Coldiretti.
In alcune aree le piogge violente hanno letteralmente devastato le colture, in altre la siccità nelle fasi iniziali di sommersione ha ritardato il ciclo colturale del risone (ovvero il riso allo stato grezzo, completo di tutte le sue parti, prima della lavorazione). Le basse temperature primaverili hanno ritardato la crescita della coltura posticipando la raccolta del riso di 10-15 giorni.
Il 90% del riso italiano proviene dall’area compresa tra Pavia, Vercelli e Novara, ma ci sono coltivazioni rilevanti anche in Veneto, Emilia Romagna e Sardegna.
L’Italia è il primo produttore europeo di riso: si raccolgono 1,50 milioni di tonnellate di risone all’anno, pari a circa il 50% dell’intera produzione dell’Unione Europea. In cifre, Coldiretti quantifica in 226.800 gli ettari coltivati quest’anno da 4mila aziende agricole; un’attività che dà lavoro a oltre diecimila famiglie tra dipendenti e imprenditori impegnati nell’intera filiera.
La coltivazione del riso ha un impatto positivo sul paesaggio, sull’ambiente e sulla biodiversità. La gamma varietale italiana è fra le migliori del mondo: 200 quelle iscritte nel registro varietale dell’Ente Nazionale Risi, tra cui il pregiato Carnaroli, l’Arborio, il Roma, il Baldo e il Vialone Nano, il primo riso ad avere in Europa il riconoscimento come Indicazione Geografica Protetta.
Coldiretti esprime grande preoccupazione perché il 18 gennaio 2022 scadrà la clausola di salvaguardia, la misura della Commissione Europea che ha eliminato le agevolazioni del dazio zero sull’importazione di riso indica dalla Cambogia e dal Myanmar: per anni questi Paesi hanno beneficiato di agevolazioni per esportare riso in Italia e in Europa.
Il suo mancato rinnovamento significa che dal prossimo gennaio riprenderanno massicce importazioni dai Paesi asiatici, con grave danno per i produttori nazionali. L’Ente Nazionale Risi chiede anche un monitoraggio più attento dei flussi di importazione del riso confezionato ma anche la possibilità di allineare la produzione interna europea al reale fabbisogno dell’UE.
Come precisa Coldiretti, le facilitazioni sono state sospese solo per la varietà di riso indica, mentre per la japonica sono rimaste attive. Si sollecita pertanto un impegno da parte dell’UE a rinnovare la clausola di salvaguardia e se ciò non fosse possibile in tempi brevi, la Commissione dovrebbe attivare, entro il 18 gennaio 2022, il meccanismo necessario per includere il riso nell’elenco dei prodotti riassoggettati a dazio a seguito della revoca temporanea delle concessioni EBA (Everything But Arms, abolisce i dazi e i contingenti per tutte le importazioni di merci, tranne armi e munizioni, provenienti dai paesi meno sviluppati, ndr) alla Cambogia (Regolamento (UE) n. 2020/550) a causa di violazioni dei diritti umani in quel Paese.
Coldiretti ricorda a questo proposito che gli uffici della Commissione avevano precisato che la non inclusione del riso nel provvedimento era prevista in quanto la clausola di salvaguardia era già stata adottata per il riso di origine cambogiana.
Sempre secondo l’Associazione, il riso deve essere considerato un prodotto sensibile nell’ambito dei negoziati internazionali per gli accordi di libero scambio, evitando nuove concessioni all’import e rendendo obbligatoria a livello europeo in etichetta l’indicazione del Paese di origine in modo da indirizzare gli investimenti dei fondi comunitari per la promozione solo verso il riso coltivato nell’Unione.
Venendo poi alla tutela dei consumatori, bisogna eliminare le soglie di tolleranza per le sostanze vietate all’interno dell’UE. Pertanto, afferma Coldiretti, deve essere proibita l’importazione di prodotti agricoli per i quali non vigono le stesse regole sugli agrofarmaci imposte dai regolamenti comunitari. È basilare sottolineare che i prodotti importati in Italia e in Europa devono rispettare gli stessi criteri a tutela della dignità dei lavoratori.