di Alan Patarga
Sull’arma “fine di mondo”, in termini finanziari per la Russia, i Paesi occidentali sono ancora divisi. Bloccare il sistema di pagamento Swift, il codice che consente l’effettuazione dei bonifici internazionali, significherebbe tagliare le gambe a Mosca, che a quel punto faticherebbe perfino a ricevere i pagamenti relativi alle ingenti forniture di gas dirette a ovest.
Il Cremlino lo sa, e nonostante il via all’offensiva terrestre in Ucraina, lascia intendere di voler lasciare aperto il canale del dialogo. Ci pensano i vertici del colosso energetico Gazprom ad assicurare che “i contratti a lungo termine con gli acquirenti saranno rispettati” e che insomma, la guerra del metano per ora è rimandata. Resta però sullo sfondo, come la peggior minaccia per un’Europa incapace di badare a sé stessa dal punto di vista energetico. Divisa sull’utilizzo delle fonti fossili, così come sul nucleare, l’Unione paga lo scotto di aver fatto affidamento troppo a lungo sulle forniture di Mosca. Qualche numero per capire: nel 2020 il consumo di gas a livello continentale è stato pari a 380 miliardi di metri cubi, di cui 145 miliardi provenienti dalla Russia. Poi ci sono gli approvvigionamenti garantiti dalle altre rotte, come quella del Tap che parte dall’Azerbaijan per approdare in Puglia, il Greenstream che pompa idrocarburi dalla Libia e la linea di rifornimento – ultimamente molto cresciuta nel mix europeo – proveniente dall’Algeria. Alternative però insufficienti, qualora qualcosa andasse storto sulla rotta Russia-Ue, scenario probabilmente non del tutto sgradito agli Stati Uniti. Che di gas sono ricchi, più di quanto pensassero fino a qualche anno fa, ma che scontano la difficoltà di diventare un player importante a causa della geografia.
L’AZZARDO AMERICANO
Per Washington c’è un solo modo di diventare un fornitore abituale dell’Europa: isolare Mosca (la guerra e un sistema di sanzioni sono il contesto ideale) e organizzare un trasporto massivo di gas naturale liquefatto (Gnl) con navi pronte a solcare ininterrottamente l’Atlantico per placare la nostra fame di energia. Un piccolo particolare: il Gnl costa molto più del metano recapitato attraverso i gasdotti che uniscono Europa orientale e occidentale, perché appunto c’è da gestire un viavai senza precedenti di navi metanifere verso il Mediterraneo e il Mare del Nord, e perché una volta giunto a destinazione il gas allo stato liquido deve essere rigassificato, in appositi impianti. Per gli Stati Uniti, un guadagno netto. Per l’Europa, tutt’altro. Senza contare che difficilmente il Gnl riuscirebbe a bilanciare lo stop alle forniture russe, senza le quali rischiamo di non arrivare all’estate.
ENERGIA, MA ANCHE CIBO
Il gas è “il” problema, ma non è il solo. Dall’ex Unione Sovietica importiamo massicciamente cereali, grano e mais in particolare. E se già la ripresa post Covid ne ha fatto schizzare i prezzi in su di circa il 40% (e di un altro 6% in un solo giorno, ieri), un’interruzione dell’interscambio finirebbe per fare del pane e della pasta dei beni di lusso e lasciare le stalle senza mangimi. Le associazioni agricole italiane, da Coldiretti alla Cia, non nascondo l’apprensione anche perché viceversa potrebbe subire una battuta d’arresto l’export dei nostri prodotti agroalimentari verso l’area, già danneggiato da sette anni di sanzioni a Mosca e dagli effetti della pandemia.
E POI C’E’ PECHINO
Come non bastasse, c’è un altro fronte da non perdere d’occhio. Un cedimento occidentale della Nato dinanzi all’invasione russa dell’Ucraina costituirebbe un precedente pericoloso, in termini di deterrenza. La Cina, per esempio, potrebbe sentirsi autorizzata a fare altrettanto con Taiwan, isola formalmente indipendente (ma da sempre rivendicata da Pechino). Ieri, mentre le agenzie di stampa raccontavano dell’avanzata dei carri armati verso Kiev, nel pomeriggio un breve lancio informava dello sconfinamento di 9 caccia cinesi nello spazio aereo di Taipei. Dettaglio: Taiwan è l’epicentro mondiale della produzione di chip, necessari ormai praticamente a tutto, dal funzionamento di pc e smartphone a quello di automobili, lavatrici e in buona sostanza qualsiasi apparecchio che contenga un minimo di elettronica. Se la Repubblica Popolare prendesse il controllo di quelle fabbriche, e al tempo stesso il Cremlino regolasse a suo piacimento la nostra possibilità di avere luce e gas in misura sufficiente al vivere civile, l’Occidente dovrebbe porsi seriamente il problema di come fare a garantire ancora il proprio benessere. Con le buone o con le cattive.