Mentre la politica perde tempo su questioni di lana caprina (“il” o “la” presidente? Merito sì o no?) o su temi economicamente importanti solo in linea di principio come il tetto al contante (che per alcuni è un diritto di libertà e riservatezza e per altri un incentivo a nero e riciclaggio), sembra che la questione centrale possa invece aspettare. Stiamo parlando del caro-vita, che nuovi indicatori e alcuni sondaggi indicano come l’unica vera priorità per gli italiani.
SALASSO BOLLETTE
Partiamo dai dati. L’Istat ha appena certificato che ad ottobre l’inflazione è salita molto più delle attese: +11,9% rispetto a un anno prima (a settembre era a +8,9%). Un balzo di tre punti in trenta giorni che non lascia presagire nulla di buono. Siamo ai massimi dal biennio 1983-1984, con il cosiddetto “carrello della spesa”, cioè il paniere costituito da generi alimentari e articoli per la cura della persona considerati come la base d’acquisto anche di chi ha bisogni essenziali, salito fino a +12,7%. Numeri da capogiro, che sempre l’Istat mette in correlazione con altri: in particolare, quelli relativi ai salari. Ebbene: a settembre, fa presente l’Istituto di statistica, l’indice delle retribuzioni su base oraria è rimasto al palo, letteralmente invariato rispetto ad agosto, con un minimo incremento su base annua dell’1,1%. Cioè l’un per cento in più di stipendio rispetto al 2021, mentre tutto il resto è cresciuto mediamente del 12%. Un disastro che non può ancora tenere conto delle bollette del prossimo inverno, quando pagheremo gas e corrente elettrica in base ai prezzi – elevatissimi – ai quali abbiamo acquistato il metano delle riserve nazionali nei mesi scorsi. Per dire: nell’ultimo anno il rincaro della luce – i dati sono sempre dell’Istat – è stato pari al 216%, quello del gas naturale al 167,6%. Potrebbe andare peggio: teoricamente sì, ma non si può certo dire che tutto stia andando per il meglio. Perché nel tentativo (finora vano) di arginare la corsa dei prezzi, la Banca centrale europea sta continuando ad alzare il costo del denaro: giovedì scorso Christine Lagarde ha annunciato un incremento dello 0,75%, che ha portato il tasso principale di riferimento al 2%. Una stretta monetaria che ha effetti diretti sul credito, con una maggior difficoltà ad accedervi per famiglie e imprese e soprattutto con l’effetto di far salire quasi istantaneamente le rate dei mutui variabili.
PENSIONI E PRESTITI
Che il potere d’acquisto sia il vero problema lo suggeriscono anche altri fattori. Sempre l’Istat, fa sapere che sono ancora 6,3 milioni i lavoratori italiani in attesa di un rinnovo contrattuale e quindi di un ritocco ai salari. E stiamo parlando di persone che – pur avendolo fermo e quindi sempre più magro – uno stipendio ce l’hanno. Nelle stesse ore, l’Inps ha ricordato come circa un pensionato su tre in Italia, nonostante una spesa di circa 313 miliardi annui, percepisca meno di mille euro al mese per vivere. Si fa per dire. Risultato: sempre più famiglie stringono la cinghia. Alla vigilia della Giornata nazionale del Risparmio (!) l’Acri, cioè l’associazione che riunisce le casse di risparmio italiane, ha diffuso un sondaggio condotto da Ipsos dal quale emerge che il 35% del campione riuscirà a mettere da parte meno soldi che in passato e che un nucleo su cinque in Italia dovrà far ricorso a prestiti per mantenere il proprio stile di vita. Con cifre come queste, c’è solo da augurarsi che – accantonate le schermaglie di inizio legislatura, fisiologiche – la politica sappia fare fronte comune e trovare risposte, e risorse, adeguate alla situazione.
di Alan Patarga