Doveva servire a finanziare le misure di sostegno a famiglie e imprese contro il caro bollette e gli sconti sulle accise dei carburanti. Ma a conti fatti la tassa sugli extraprofitti delle società energetiche – introdotta lo scorso anno dal governo Draghi – è stata un flop. Lo dicono i numeri, comunicati nei giorni scorsi in due differenti occasioni dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e del suo vice Maurizio Leo.
IL BUCO DEGLI EXTRAPROFITTI
È emerso che su un gettito preventivato di 11 miliardi di euro siano effettivamente affluiti nelle casse dello Stato poco meno di 2,8 miliardi per un ammanco di oltre 8 miliardi di euro. Rispondendo a un’interrogazione parlamentare, Giorgetti ha chiarito infatti come il tributo sia stato effettivamente pagato soltanto da 220 imprese: 1,28 miliardi circa in acconto e 1,48 a titolo di saldo. Ne erano attesi, rispettivamente, 4,4 in prima battuta e 6,5 a saldo. Hanno pagato senza battere ciglio le grandi aziende pubbliche: più di un terzo dell’intero gettito Eni (oltre un miliardo) e in buona misura anche Enel (121 milioni). Tante, tantissime quelle che invece si sono rifiutate di versare questa tassa su presunti extraprofitti che – sostengono molte imprese del settore – vorrebbe colpire populisticamente chi per primo ha dovuto sopportare e gestire l’impennata dei costi della materia prima dovuta dapprima alla ripresa globale e poi, soprattutto, alla guerra in Ucraina. Molte società, non a caso, hanno avviato una battaglia legale guidata dallo studio internazionale Cms che, come per la Robin Tax, punta a dimostrare addirittura l’incostituzionalità della misura. Un bel rebus.
TU CHIAMALI SE VUOI SCOSTAMENTI
Peccato che a sciogliere l’intreccio, adesso, debba essere un altro esecutivo. Il governo Meloni, che lo scorso 25 settembre ha vinto le elezioni politiche con la promessa di alleggerire il carico fiscale e riformare le pensioni, ha infatti bisogno di risorse ingenti per mantenere gli impegni presi con l’elettorato. La scorsa settimana, per questa ragione, è dovuto ricorrere allo scostamento di bilancio – oggetto peraltro di un gravoso incidente parlamentare – per reperire soldi che materialmente non erano in cassaforte. La richiesta di sforamento dei conti pubblici è stata spalmata su due annualità: 3,4 miliardi di euro per il 2023 e altri 4,5 per il 2024. Cifre che sommate insieme fanno una somma di 7,9 miliardi. Euro più euro meno, l’ammanco di cassa lasciato dalla tassa mancata di Draghi.
di Alan Patarga