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giovedì, 21 Novembre, 2024

Il Rendiconto di Alan Patarga – DAL GAS AI MIGRANTI FINO AL PATTO DI STABILITA’. PERCHE’ SIAMO SEMPRE RICATTABILI

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di Alan Patarga

Di fronte alle crescenti difficoltà dell’Italia ad imporre il proprio punto di vista sui vari dossier in discussione in Europa – dall’energia alle politiche migratorie – ci sarebbe una sola domanda da porsi: “Siamo nella condizione di battere i pugni sul tavolo?”. La risposta – checché se ne pensi delle iniziative del governo Meloni – è, tristemente: no.

SOLI DAVANTI ALL’ONDA

Prendiamo la questione migranti. Con un braccio di ferro concluso con il dirottamento a Tolone (Francia) di una nave carica di disperati provenienti dal Nord Africa, l’esecutivo italiano ha tentato di porre all’attenzione dei partner europei una questione sacrosanta, sollevata perfino nei giorni scorsi da Papa Francesco: l’Italia e gli altri Paesi Ue “di frontiera” sul Mediterraneo sono di fatto soli ad affrontare l’onda lunga delle migrazioni di massa che guardano ormai da anni a settentrione. Nostro l’onere di soccorrere le imbarcazioni di fortuna (ma anche quelle ben rifornite delle Ong), come anche di organizzare gli sbarchi e poi di implorare il ricollocamento sul suolo europeo e non soltanto italiano dei migranti. Perfino nella spartizione dei fondi siamo messi peggio di tutti: dal fondo comune pari a quasi 10 miliardi di euro, attingiamo annualmente la ridicola cifra di 8 milioni, come tutti gli altri Paesi membri dell’Unione ad eccezione dei tre considerati “in prima linea” (Grecia, Cipro, Malta) cui invece sono destinati 28 milioni. Ebbene: l’impuntatura del governo italiano ha causato l’ira del presidente francese Emmanuel Macron, arrivato a minacciare l’isolamento di Roma e la “chiamata alle armi” di altri partner europei – in primis, la Germania – per mettere dichiaratamente in difficoltà il nostro Paese.

ISOLATI SUI DOSSIER ECONOMICI

Minacce che non sembrano alludere al solo meccanismo di ricollocamento dei migranti. Parigi ha parlato di rottura della fiducia e delle relazioni, addirittura ordinando una vigilanza rafforzata alle frontiere (contravvenendo alle regole di Schengen) e lasciando intendere che la “special relationship” con l’Italia potrebbe subire contraccolpi in molti campi. L’avvertimento è serio: perché su diversi dossier economici il nostro Paese era riuscito a costruire un asse proprio con la Francia, spezzando almeno in parte quello storico tra Parigi e Berlino. C’è infatti la Germania, puntualmente affiancata dall’Olanda, all’origine di molti no recenti agli interessi italiani. Quello al tetto al prezzo del gas, per esempio, che proprio per l’opposizione dei cosiddetti “frugali” non riesce a diventare realtà (sebbene il cancelliere Scholz abbia annunciato un tetto solo tedesco già a partire dal prossimo gennaio). Ma anche la resistenza forte al nuovo patto di stabilità “flessibile” che a partire dal 2024 dovrebbe regolare il rapporto tra la Commissione Ue e i singoli Paesi in tema di conti pubblici.

IL TALLONE DEL DEBITO

Il punto è che su tutte queste partite giochiamo in pesante svantaggio. Uno svantaggio – sia chiaro – tutto ascrivibile alle dissennate politiche di bilancio che la quasi totalità dei governi italiani dell’ultimo mezzo secolo ha messo in pratica. L’enorme debito pubblico accumulato – circa 2.800 miliardi di euro – fa sì che l’Italia non sia libera di andare a Bruxelles a fare davvero la voce grossa. Pena esporsi a ritorsioni dolorosissime. D’altro canto, sono oltre vent’anni che il nostro Paese vive di garanzie europee: tra Quantitative Easing, prestiti e aiuti vari (oltretutto non sempre sfruttati o ben spesi) siamo andati avanti grazie all’ombrello europeo, al riparo da speculazioni sui mercati che avrebbero potuto rivelarsi letali per una eventuale nostra moneta indipendente e quindi per l’economia reale. La verità è che per essere credibili in un negoziato, al netto delle incoerenze e delle furbizie altrui (che certo non mancano), occorre essere finanziariamente autonomi. Non lo siamo, e da parecchio tempo. Soltanto liberando la crescita economica e aggredendo senza pietà il debito pubblico potremo centrare l’obiettivo. Altrimenti, continueremo a sembrare soltanto il cane che morde la mano di chi lo sfama.

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