In queste ore si sta svolgendo il referendum sulle trivelle, referendum che ha dato occasione alla politica di mostrare il peggio di sé, diffondendo disinformazione e bufale da entrambe le parti.
Ma partiamo dal quesito referendario. Eccone il testo:
Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?
Cosa significa in soldoni? Significa che, se la legge rimane così come è, le aziende petrolifere che oggi gestiscono le piattaforme potranno continuare indisturbate a estrarre petrolio dal giacimento finché morte (del giacimento) non li separi. Un abominio legislativo contrario a ogni logica, di mercato o ambientale che sia, e contraria anche al buon senso. Perché mai, infatti, lo stato dovrebbe concedere delle licenze per così lunghi tempi senza la possibilità di ridiscussione? Già, perché se il referendum dovesse passare con la vittoria del sì, nessuno vieterebbe allo stato di concedere nuove licenze alla scadenza di quelle in vigore, magari ridiscutendo le condizioni. Sempre nella speranza, si intende, di avere allora un governo un po’ meno servo delle lobby economiche e un po’ più dignitoso. Le condizioni attuali, infatti, garantiscono il profitto alle aziende petrolifere con ben scarso guadagno per lo stato italiano che, fino a prova contraria, è proprietario del fondale trivellato e, quindi, del giacimento. In teoria esisterebbero delle royalties, ma quelle richieste dall’Italia sono solo il 10%, quando all’estero si va dal 25% della Guinea all’80% della Norvegia. Ma, come il solito, noi siamo i più furbi…
Ora, una norma come quella che il referendum vorrebbe abolire dovrebbe essere sgradita a chiunque ragioni in modo onesto. Agli elettori di sinistra perché garantisce diritti (o, meglio, privilegi) imperituri a capitalisti che lucrano sulle risorse del nostro paese e agli elettori di destra (almeno di quella liberal-liberista) perché crea un privilegio contrario alle leggi del mercato libero e della libera e leale concorrenza. Ed è forse proprio per questo che la politica si è prodigata a gettar fumo negli occhi degli elettori, propagandando bufale e falsità.
Non è vero infatti che l’Italia sarà costretta, in caso di vittoria del sì, a comprare più petrolio dall’estero, né che si dovrebbe rinunciare a una grande occasione di guadagno. Le trivelle rimarrebbero in azione fino alla scadenza della licenza, e la licenza stessa sarebbe rinnovabile. Solo la cosa, come si diceva, non sarebbe automatica, ma soggetta a ridefinizione delle condizioni. Il sì, quindi, non sarebbe contrario al mercato e alle sue leggi, ma sarebbe in linea proprio con queste.
Ma le balle non sono state dette solo dai contrari al referendum. Da parte dei favorevoli al sì si sono portate avanti tesi prive di senso. Si parlava di investimenti nelle energie rinnovabili, cosa sicuramente auspicabile, ma che non ha attinenza alcuna con il referendum. Altri sostengono che il sì porrebbe fine alle trivellazioni mentre il no avrebbe aperto la porta alla realizzazione di nuove piattaforme a destra e a manca. Entrambe cose false.
In ogni caso tutte queste falsità e imprecisioni hanno sicuramente traviato il voto di molti che, magari convinti di salvaguardare l’economia libera, voteranno no, di fatto aumentando quello “statalismo” che ai liberal-liberisti sta antipatico. Allo stesso modo gli ambientalisti si illudono di ottenere qualcosa che non otterranno votando sì. Le piattaforme non chiuderanno e non si investirà nelle rinnovabili. O almeno non in conseguenza al voto referendario.
È il caso anche di spendere due parole sull’invito di Renzi, Napolitano e altri politici all’astensione. Trovo che sia vergognoso che degli uomini delle istituzioni invitino la gente a rinunciare a un diritto come quello del voto. Si tratta di un gesto antidemocratico, indegno di chi dovrebbe essere difensore della democrazia stessa. E a chi volesse rispondere che tale invito è legale e quindi legittimo, ricordo che non esiste solo la legge dello stato, ma anche la legge, non scritta, dell’etica. E simili dichiarazioni sono del tutto immorali. Se un politico è contrario al quesito referendario ha tutto il diritto di invitare i suoi elettori a votare per il no, ma invitarli all’astensione è indecente e diffonde il malcostume del disinteresse verso la politica e della rinuncia alla propria partecipazione alla vita del paese. Un malcostume che può interessare solo a chi, a destra come a sinistra, non lavora per il bene dell’Italia, ma per gli interessi particolari propri e dei propri “amici”. Amici come quelli delle aziende petrolifere che, uniche, hanno da guadagnare dalla norma che si vuole abolire col referendum.
Concludendo, quale che sia l’esito del referendum (raggiungerà il quorum? Vincerà il sì?), la politica italiana ha perso l’ennesima occasione per comportarsi in modo onesto e serio, invece che nel solito modo buffonesco e furbetto. Inutile dire che con una simile classe politica non andremo da nessuna parte.
Enrico Proserpio