di Martina Biassoni
Nonostante l’iniziale ipocrisia dell’opinione diffusa “questo periodo ci cambierà, nulla sarà come prima. Saremo migliori”, non è un segreto che discriminazioni, ingiustizie e disparità – sui social e non – siano tutt’ora all’ordine del giorno. Soprattutto nei confronti di quelle categorie meno rappresentate o con una voce più debole rispetto ad altre.
La voglia di migliorarsi e di un mondo più leggero da giudizi e pregiudizi, è durata il tempo d’un bacio negato dal distanziamento sociale, poi invidie, cattiverie e la vera tendenza alla discriminazione – latente, ma pronta a svegliarsi e ad attaccare con grinta sempre maggiore – sono riaffiorate.
Con arroganza, il tentativo delle masse, dei gruppi forti, è da sempre quello di annientare l’avversario tramite una guerra in cui nulla è illecito, soprattutto se l’attacco va ad insediarsi in parti oscure dell’inconscio pronto poi a proiettarsi all’esterno in situazioni scomode o in cui non ci si senta a proprio agio. E questo continua, anche dopo che tutti abbiamo provato la sensazione di malessere che si prova nello stare segregati, lontani dagli affetti, dalle persone che ci fanno sentire bene, anzi questa quarantena è stata un vivaio di discriminazioni gratuite: dai gruppi pedo-pornografici sui social, al “caso disabili dimenticati” nei vari decreti, i lavoratori dimenticati dalle coperture economiche, per arrivare all’ultimo in ordine cronologico, la discriminazione nei confronti delle donne, con il caso Botteri .
Sembra che proprio, l’essere umano, non sia capace di risparmiarsi l’ironia pungente nei confronti dei propri simili, ma rimane poco chiaro come, ad un punto dell’evoluzione tanto avanzato (rispetto a quando usavamo pietre appuntite per tagliare la carne, lo è di certo) siano ancora accettati e rispettati comportamenti di questo genere.
Forse la comodità di accettarli è più semplice di combatterli e sradicarli dalla tradizionale concezione della vita: irriverente, irrispettosa ed egoistica. Il problema, però, di questi tempi sta diventando sempre più amplificato, a causa della sensazione di potere, dell’entitlement che molti provano grazie alla possibilità di avere una voce grazie ai social. Questo è infatti il lato negativo della comunicazione ai tempi di internet: chiunque si sente in dovere di commentare, lasciare parole d’odio e offensive fra i commenti; chiunque si sente importante e sente di avere ogni diritto di sindacare sul privato altrui, sulle decisioni altrui, senza conoscere veramente e a fondo chi c’è dall’altra parte. Ed in questo ha giocato un ruolo molto importante anche la televisione: tutti i falsi reality in cui personaggi se ne dicono di ogni, serie tv in cui tutto è lecito, film e programmi pieni di situazioni talmente improbabili da svegliare nello spettatore medio la voglia di ricrearle e di farle realtà. Una condizione che ha aiutato a modificare quello che è il senso di giudizio d’ognuno, facendo sì che s’arrivasse a pensare che tutto ciò che si trova online ed in tv, tutto ciò che è detto, o meglio, scritto online è come se fosse lasciato in una terza dimensione in cui l’io scrivente è un io distaccato e non vero, che non deve sentirsi responsabile, né colpevole delle offese lasciate a qualcuno.
Eppure non è così. Eppure sui social non controlliamo un avatar, eppure i commenti, le dimenticanze, le discriminazioni, i commenti sarcastici sull’aspetto fisico di qualcuno, le foto private rilasciate e condivise con migliaia di altri utenti del web sono reali, anche se le vediamo piatte ed astratte, sono concrete ed occupano uno spazio tridimensionale da cui sarà impossibile rimuoverne le tracce per sempre. Uno spazio che è vivo e potrebbe portare a tante positive possibilità, sempre che la nostra mente si applicasse, invece di continuare a diffondere indistintamente negatività ed odio.
Sarebbe ora di smetterla con le discriminazioni e le cattiverie gratuite. Sarebbe ora di smetterla con gli insulti agli altri per sembrare simpatici ai nostri vili simili.Un utilizzo di internet e del proprio potere d’opinione libero, ma consapevole dei propri effetti sugli altri, è la scelta giusta per un mondo reale sempre più permeato da quello virtuale.