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domenica, 17 Novembre, 2024

Il primo dibattito del Partito Repubblicano: chi (non) c’era e chi ha vinto

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Nella notte tra mercoledì e giovedì al Fiserv Forum di Milwaukee, nel Wisconsin, si è tenuto
il primo dibattito tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti per il Partito Repubblicano.
Secondo le regole stabilite dal Republican National Committee, nove candidati avevano
raggiunto i requisiti per poter accedere al palco del dibattito, ma all’evento hanno scelto di
partecipare solo in otto. Il più atteso, l’ex Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha
disertato.


Trump gode di un vantaggio che sembra apparentemente incolmabile rispetto agli altri
contendenti per la nomination repubblicana. Secondo la media dei sondaggi
dell’aggregatore FiveThirtyEight l’ex Presidente ha un margine di oltre 30 punti percentuali
rispetto al suo più diretto contendente, il governatore della Florida, Ron DeSantis. Gli analisti
e i commentatori sono concordi nel sostenere che Trump abbia scelto di non partecipare al
dibattito per privare i suoi avversari della possibilità, per quanto remota, di contendergli la
leadership nei sondaggi attraverso una serata che molto probabilmente lo avrebbe costretto
al centro del fuoco incrociato dei suoi compagni di partito.
Piuttosto che salire sul palco del Fiserv Forum, l’ex Presidente ha scelto di accettare l’invito
a farsi intervistare del giornalista ed ex conduttore di Fox News, Tucker Carlson, che fu
licenziato qualche mese fa dalla rete di proprietà di Rupert Murdoch e che da poche
settimane ha lanciato un nuovo format giornalistico sulla piattaforma X, nota
precedentemente come Twitter. L’intervista di Carlson a Trump è stata esattamente come ci
si poteva aspettare: un ricettacolo di tesi complottiste sostenute con il bene placito, se non
con la compiacenza, del conduttore conservatore.

Un fermo immagine dall’intervista che Donald Trump ha concesso a Tucker Carlson (X)

C’era da augurarsi che qualcuno, nell’arena di Milwaukee, approfittasse dell’assenza di
Trump, definito dal moderatore Bret Baier come the-elefant-not-in-the-room, l’elefante
assente dalla stanza. L’ex Presidente è ben noto per la sua capacità di attirare in maniera
quasi esclusiva l’attenzione su di sé durante i dibattiti, oltre che per la sua abilità in questo
tipo di formato. Sembra che nessuno dei candidati più attesi, tuttavia, sia stato capace di
approfittare dell’assenza di Trump per catalizzare l’attenzione degli elettori repubblicani su di
sé.
La grandissima delusione della serata è stata il governatore della Florida, Ron DeSantis, che
è parso per lunghi tratti spaesato, quasi incapace di prendere una posizione chiara sulla
gran parte dei temi che hanno dominato il dibattito. Alla domanda di Baier ai candidati
riguardo l’eventuale sostegno alla candidatura alla presidenza di Trump nel caso in cui
dovesse essere condannato, DeSantis ha alzato la mano timidamente, dopo qualche
interminabile secondo di esitazione. Sul sostegno all’Ucraina, il governatore della Florida
sembra essere giunto, ormai, all’ennesima marcia indietro. Sulla condanna dei fatti legati
all’assalto al Campidoglio, DeSantis ha più volte tentato di deviare le domande dei
moderatori, che invani gli hanno chiesto di dare una risposta che potesse essere chiara per
gli elettori. E forse è proprio questa la tragedia di DeSantis: il governatore non è stato in
grado di capire che gli elettori repubblicani non gradiscono chi tenta di tenere un piede in più
scarpe nel tentativo di accontentare tutti. Trump Docet.

La mano destra di Ron DeSantis, il quarto da sinistra, che timidamente si alza in sostegno
dell’ipotetica candidatura di Donald Trump alla presidenza. Un manifesto della disastrosa campagna elettorale del governatore della Florida.

Le piacevoli sorprese della serata sono state l’ex Vicepresidente Mike Pence, apparso molto
più combattivo del solito e capace in più occasioni di trasmettere in maniera convinta il suo
messaggio (neanche il Presidente degli Stati Uniti è al di sopra della Costituzione, per buona
pace di Trump); l’ex Ambasciatrice alle Nazioni Unite, Nikki Haley, che ha portato la sua
voce moderata, competente e pacata, destinando qualche affondo puntuto (e gradito dal
pubblico) all’ultimo e assoluto protagonista del dibattito: l’impreditore del settore biotech,
Vivek Ramaswamy. Non pervenuti, invece, Chris Christie e Asa Hutchinson, le voci più
critiche nei confronti di Trump nel Partito Repubblicano, il governatore del North Dakota,
Doug Burgum, e il senatore della South Carolina, Tim Scott.
Nel corso del dibattito Ramaswamy è apparso, per lunghi tratti, l’unico con un messaggio
chiaro da diffondere all’elettorato repubblicano. Tra le altre cose ha sostenuto che il
cambiamento climatico è una truffa, che gli Stati Uniti non possano sostenere militarmente
l’Ucraina prima di risolvere i propri problemi al confine con il Messico, che Trump è stato il
più grande Presidente degli Stati Uniti nel ventunesimo secolo, invitando anche gli altri
candidati ad impegnarsi per concedergli l’agognato pardon presidenziale in caso di
condanna per uno dei numerosi processi in cui è coinvolto. Insomma, Ramaswamy è un
estremista, ma che piace agli elettori del GOP proprio perché esprime in maniera diretta,
vivace, senza fronzoli, ciò che loro vogliono sentirsi dire.
Se Trump dovesse cadere in disgrazia, sapete su chi scommettere.

di Giuseppe Russo

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