di Gabriele Rizza
Il grande scrittore veneto Giuseppe Berto trascorse gli ultimi anni della sua vita in Calabria; amava il meridione e così tanto la Sicilia che scelse di contemplarla dalla punta dello stivale nelle giornate di sole e di foschia, creando un ponte mistico percorribile solo dallo sguardo interiore. Questa è solo una piccola storia di quel piccolo tratto di mare che separa la Sicilia dal continente, oggi tornato alla ribalta per l’ennesimo proposito – oggi del premier Giuseppe Conte – di costruire il ponte sullo strettoin un discorso sul rilancio economico del sud Italia post pandemia.
La novità è che adesso il ponte potrebbe essere un tunnel sotterraneo, come quello della Manica che unisce Francia e Inghilterra, costruito con tecnologie che abbatterebbero costi, garantendo ancor più sicurezza, tutto al costo di cinque miliardi di euro.
La discussione è annosa e pone in conflitto visioni, priorità e sensibilità, come ambientalisti e modernisti. Oggi, l’ostilità al ponte si è affievolita, perché ormai la questione non è più “ponte sì o ponte no”, ma chiedersi quali opportunità e quale visione del sud il ponte deve aiutare a sostenere, perché non dovrà essere la cattedrale nel deserto ma una delle più importanti “parrocchie” che connettono i territori, non solo con l’alta velocità o l’autostrada, come se tra il resto d’Europa e la Sicilia ci fosse il deserto. C’è tutto un sistema di strade statali e ferrovie regionali da rifondare, rivedere e ragionare, di territori da scoprire per il turismo e di aziende locali che cercano nuove occasioni.
Il ponte sullo stretto funzionerà solo se risponderà ad una vocazione e non ad un calcolo utilitaristico e di spot; o sarà parte sentita di un’identità o sarà l’ennesimo spreco stile Cassa del mezzogiorno.