di Martina Grandori
Ne ha vissute tante di crisi, ne ha viste di tutti i colori, ma questa della pandemia, è un accaduto che ha fatto molto male anche al re del make up, il rossetto.
Da sempre considerato un’arma antidepressione, un passe-partout anticrisi, più il periodo era buio, più le donne sfoggiavano labbra rosse come antidoto, Winston Churchill in tempo di guerra fu uno dei grandi sostenitori del rossetto come scacciapensieri. Ma nulla è eterno, invincibile, anche il rossetto sta vivendo la sua Caporetto.
L’estate del Covid, fra le tante cose che si è portata via, fra le ferite fatte, lasciate e che lascerà, c’è anche quella del crollo del 60% delle vendite del rossetto. Che senso ha metterselo se poi si è costrette ad indossare la mascherina?
E così, tristemente, crollano le vendite, secondo i dati pubblicati dalla società Nielsen (azienda globale di misurazione e analisi dati che fornisce una visione generale sui consumatori e sui mercati), le donne non reputano più importante compiere quel gesto, dare quel tono di colore e verve al loro viso a causa della mascherina, che protegge e tutela, ma che al contempo mutila femminilità e seduzione. Non ci sono storie, i visi mascherati perdono moltissimo del loro carattere, dello charme che si sprigiona quando si cammina o si risponde ad una telefonata in ufficio, inutile stare a fare polemiche o trovare eccezioni. È’ così.
Ed è così che il Lipstick-Index, termine coniato da Leonard Luder, chairman del colosso della bellezza americano Estée Lauder, nel 2001 in seguito alla tragedia delle Torri Gemelle – anno in cui le vendite di rossetti però aumentarono dell’11% – si prende una stoccata per la prima volta nella storia.
Anche nel settembre 2008 con il crollo della banca d’affari Lehman Brothers le vendite del rossetto aumentarono del 5%, paradossalmente peggio vanno gli andamenti delle borse, più si ha voglia di labbra sfolgoranti; è storia non solo sociologica ma economica.
Un ennesimo problema questo arresto delle vendite, uno dei tanti problemi della nostra economia, perché il settore beauty in Italia vale. Secondo Istat è di 300 milioni la spesa annua delle italiane per il loro sorriso fra rossetti, olii specifici, booster, trattamenti all’acido ialuronico e altri prodotti ad hoc.
Ma c’è di più che fa tremare addetti ai lavori e lavoratori. Non tutti sanno che il 50% dei rossetti nel mondo e il 65% di quelli europei sono realizzati in Italia, e precisamente nella make-up valley lombarda, quel quadrilatero che ha i punti cardinali tra Crema, Bergamo, Milano e Agrate Brianza.
Il crollo è evidente anche se il declino in realtà è iniziato già dal 2019. Dopo anni di boom del trucco – merito anche di influencer, cantanti, tutorial e YouTube -, di aziende (anche di settori non legati alla bellezza) che si sono lanciate nell’avventura del color cosmetics con rossetti che promettevano infinite funzioni, le donne sono tornate a spendere di più per la cura della pelle, lo skincare.
Ed ora che la mascherina copre, che si esce meno – o meglio si dovrebbe uscire meno – che le aziende fanno lavorare da casa, che in discoteca non si va, che al cinema non ci si bacia più, arriva un dietrofront senza precedenti, lo stallo di quella che è stata una certezza. Winston Churchill docet.