Le proteste dei giorni scorsi per la costruzione del gasdotto in Puglia hanno evidenziato un problema sostanziale: la mancanza di prospettiva e di visione di gran parte della gente.
La prima riflessione, più immediata, è che quasi tutti non si scomodano per ragioni di ideali o di principio, ma solo di utilità schietta e di piccoli interessi. Sono convinto che molti di coloro che hanno manifestato, perfino tirando sassi, non si sarebbero alzati dalla poltrona se il gasdotto fosse stato realizzato in un’altra zona. Il problema, per loro, non è che sia realizzata l’infrastruttura, ma che sia fatta a casa loro. Un atteggiamento molto diffuso nel nostro paese. Quando, nei mesi prima del disastro di Fukushima del 2011, la politica discuteva di un eventuale ritorno al nucleare, molti si dichiaravano a favore delle centrali, ma nessuno le voleva a casa propria.
Certo, dispiace a tutti vedere espiantati gli ulivi, ma non si può pensare che si possa avere servizi e infrastrutture senza mai sacrificare nulla. Anche se oggi i manifestanti hanno ottenuto una parziale vittoria, poiché il TAR ha momentaneamente sospeso l’espianto degli alberi, resta la necessità di fare il gasdotto.
E qui giungiamo alla mancanza di prospettiva. Petrolio e gas sono risorse in esaurimento, che non dureranno ancora per molto. È decisamente inopportuna e assurda la politica energetica del nostro paese, che ancora continua a investire sugli idrocarburi invece che lavorare per rafforzare le rinnovabili e evitare gli sprechi energetici, uniche cose a poter garantire l’energia per il futuro. Ma sono altrettanto privi di prospettiva quei manifestanti che guardano solo al proprio orticello, senza proporre nulla di alternativo all’uso del gas. Finché si usa il gas, saranno necessari i gasdotti. Se noi tutti, manifestanti pugliesi compresi, avessimo preteso politiche energetiche diverse, forse oggi il gasdotto non sarebbe stato necessario. Ma, come si diceva, ci si sveglia solo quando è troppo tardi e il danno è già fatto, per tornare poi a dormire.
Il tema dell’energia è di fondamentale importanza per diverse ragioni. E non mi pare di vedere proposte di ampio respiro che possano veramente essere un punto di svolta.
Il primo problema è quello dell’esaurimento delle risorse. Petrolio e gas sono agli sgoccioli (si parla di trent’anni, o forse meno) e anche l’uranio (per chi fosse tentato di ritirar fuori dal cilindro il coniglio del nucleare) non abbonda. È dunque giunto il momento di cambiare rotta e smettere di usare queste fonti energetiche. Al loro posto si deve rafforzare l’uso del solare, dell’eolico e di tutte le altre fonti rinnovabili. E a chi dice che non si può fare perché una centrale solare non rende quanto una a idrocarburi, a carbone o nucleare, rispondiamo che, evidentemente, non conosce a fondo il tema. Le rinnovabili sono, infatti, fonti concettualmente diverse da quelle tradizionali. Il concetto di “centrale elettrica” è legato alle fonti tradizionali, che necessitano, per la difficoltà gestionale e i costi elevati, di una gestione centralizzata. Per questo si devono costruire centrali e dare la gestione energetica in mano a grandi aziende, che possano occuparsi dell’importazione delle fonti e della trasformazione delle stesse in energia.
Con le rinnovabili questo non è più vero. Queste fonti necessitano di tanti piccoli produttori diffusi sul territorio e non di uno grosso e centrale. L’idea è quella di rendere ogni casa, ogni edificio, il più possibile indipendente, in modo che la produzione di energia nelle centrali divenga solo residuale. Inoltre si possono installare pannelli solari o piccole pale eoliche in molti luoghi: pensiamo alle tettoie dei parcheggi, che possono divenire, così, produttive.
Solo così possiamo pensare di ridurre prima e sospendere poi il consumo di idrocarburi.
A chi poi pensi che “tanto c’è tempo” voglio ricordare due cose: il tempo non è poi così tanto e, soprattutto, non è necessario attendere che petrolio e gas finiscano per smettere di usarli. Gli ultimi tre anni (2014, 2015, 2016) sono stati i più caldi da quanto vengono rilevati i dati. Un fatto dovuto al riscaldamento globale, che peggiora sempre più e fa danni sempre più gravi. Già oggi sono tanti coloro che devono migrare dai loro paesi a causa della desertificazione. E il fenomeno aumenterà sempre più. Perché se da una parte il riscaldamento globale rendere aridi sempre più terreni, dall’altra fa sciogliere i ghiacci e aumentare il livello dei mari. Andando avanti di questo passo in pochi decenni ci ritroveremo con buona parte della Romagna non più abitabile perché invasa dal mare. Per non parlare, ovviamente, di Venezia. Nel terzo mondo poi si rischia la sparizione completa di molti territori costieri. Il Bangladesh rischia di scomparire, generando la migrazione di duecento milioni di persone. Uno scenario apocalittico nei confronti del quale le migrazioni attuali sembreranno uno scherzo.
Che il riscaldamento globale sia dovuto all’inquinamento da idrocarburi non è un mistero. Il tasso di anidride carbonica presente nell’atmosfera ha superato oggi le quattrocento parti per milione. Un dato mai registrato. Dai dati raccolti si è visto che negli ultimi ottocentomila anni si è arrivati, al massimo, a trecento parti per milione. Il che smentisce chi, spesso in malafede, cerca di attribuire ai “cicli naturali” l’attuale situazione. L’anidride carbonica è uno dei prodotti principali della combustione. Per questo è necessario smettere di ricavare energia da processi combustivi, quale che sia il combustibile. Se poi all’aumento della CO2 aggiungiamo la continua diminuzione delle foreste, che con la loro azione riducono la percentuale di anidride carbonica fissando il carbonio, il ritmo della crescita delle temperature diventa ancor più veloce.
C’è anche un altro aspetto da non sottovalutare. La combustione degli idrocarburi non produce solo anidride carbonica e, di conseguenza, riscaldamento globale. Tra i prodotti della loro combustione ci sono anche una serie di gas tossici, come l’anidride solforosa, responsabili delle piogge acide che danneggiano boschi e foreste. Inoltre alcuni combustibili (il gasolio, per dirne uno) producono le famigerate polveri fini, responsabili di problemi respiratori e malattie varie. Proprio il nostro paese, come rilevato dall’Agenzia europea dell’ambiente, è, tra quelli europei, quello col più alto tasso di morti premature dovute all’inquinamento atmosferico. Non possiamo quindi più permetterci di andare avanti a bruciare idrocarburi o carbone come facciamo ora. Un messaggio, questo, che diversi paesi stanno recependo. Olanda e Norvegia stanno, per fare un esempio, portando avanti politiche atte a eliminare gli idrocarburi dalla loro economia energetica. Certo, non è un processo immediato. Ci vogliono diversi anni per convertire un paese all’uso delle rinnovabili. Ma proprio per questo è necessario cominciare subito.
Infine, vorrei sottolineare anche un aspetto politico della faccenda energetica. La dipendenza da fonti energetiche non nostre (l’Italia non ha sufficienti riserve di petrolio e gas per il suo fabbisogno) ci costringe a far buon viso a cattivo gioco davanti alle angherie e alle prepotenze di stati spesso non democratici come l’Arabia Saudita o la Russia di Putin. L’indipendenza energetica non renderebbe quindi l’Italia solamente un paese meno inquinato e più sano, ma anche politicamente più forte e libero.
A questo punto resta solo una domanda da fare ai nostri politici: cosa aspettate a cambiare direzione?
Enrico Proserpio