di Stefano Sannino
Tra tutti i temi che toccano le nostre vite con maggior frequenza ed intensità, il fondamentalismo religioso è, almeno dall’11 Settembre 2001, quello che ci viene presentato con più forza e vigore.
In particolare, i media occidentali hanno cominciato una vera e propria campagna mediatica contro il fondamentalismo, ignorandone però il significato. È chiaro che gli atti terroristici portati avanti da una fascia della religione islamica in occidente abbiano provato e provochino ancora (basti pensare all’accoltellamento dello scrittore Salman Rushdie occorso pochi giorni or sono) numerosissime vittime; ciò non toglie, però, che il termine fondamentalismo associato al tema del terrorismo sia confusionario e non prettamente corretto.
Il termine fondamentalismo, utilizzato oggi per descrivere tutte quelle branche religiose dedite al tradizionalismo più puro ed all’ortodossia più sfrenata, etimologicamente ci rimanda ad una parola, il fundamentum, il principio, la base da cui poi tutta le religione è stata costruita. Il fondamentalismo è dunque la tendenza a ritornare alle origini della propria religione e dunque ai fondamenti dottrinali e teologici.
L’ortodossia, che pur cozza con lo stile di vita occidentale, non può essere automaticamente condannata per questo motivo se non procura lesioni o sofferenza a terzi.
È il terrorismo ad essere il problema principale delle grandi religioni contemporanee e non il fondamentalismo per sé. Questa distinzione, che pur potrebbe apparire banale, è in realtà importantissima perché ci permette di comprendere che, sebbene vi siano dei movimenti più violenti di altri all’interno delle grandi religioni contemporanee, non è l’ortodossia a produrre la violenza. Non è il ritorno ai fondamenti a produrre l’odio e dunque, l’omicidio.
Similmente, non dobbiamo dimenticarci che associare, come fanno i nostri media, la parola terrorismo all’Islam è sbagliato. Innanzitutto perché è sbagliato categorizzare in questo modo una religione che per definizione è sfaccettata e divisa nelle tendenze e nelle correnti interne, ma anche e sopratutto perché questa associazione perpetra nella nostra società un odio inconscio che non fa altro che aumentare l’emarginazione, la ghettizzazione e lo scontro sociale.
Gestire l’informazione, specialmente quando si parla di religione, è fondamentale poiché i media hanno nelle loro mani una delle parti più intime dell’individuo: la spiritualità. Continuare a produrre associazioni tra singole religioni e tendenze violente che hanno invece caratterizzato, e caratterizzano tutt’ora, tutti i grandi monoteismi contemporanei (cristianesimo, ebraismo ed Islam) significa continuare a produrre, volontariamente o involontariamente, la segregazione razziale, la ghettizzazione religiosa ed altri fenomeni che inducono solamente alla violenza sociale. Si entra così in un circulus vitiosus da cui difficilmente si potrà uscire. È imperativo allora rompere queste catene e conoscere a fondo il significato di ciò di cui si parla, impedendo al terrorismo (in questo caso mediatico) di irrompere nelle nostre vite e di farci odiare ciò che in realtà non conosciamo.
Fare questo non significa accettare la violenza o essere omertosi davanti al terrorismo, ma anzi significa guardare il terrorismo per ciò che è davvero: non solo un fenomeno religioso, ma un fenomeno umano che come tale va combattuto, senza frontiere, senza religioni e senza politiche.