di Martina Grandori
Si torna a parlare di un argomento ingombrante, il flop delle auto elettriche, il flop di un macro progetto green a livello mondiale che per tanti motivi, non riesce ad ingranare la marcia giusta.
Facciamo un passo indietro, già nel febbraio 2018 Milena Gabanelli aveva fatto inquadrato e illustrato in maniera chiara a tutti – ed è questa la sua bravura, riuscire a raccontare le storie con un taglio facile e diretto – cosa si celava dietro il mercato delle auto elettriche. Già due anni fa, a non convincere era l’elevato costo di vendita, gli incentivi scarsi (in Italia erano 3000 euro contro i 9000 euro di altri stati europei) e la poca diffusione delle fondamentali colonnine per la ricarica – purtroppo questi motori non hanno una grande autonomia – nonostante nel 2018 l’Italia avesse stanziato 33.500000 milioni di euro come finanziamento per le infrastrutture da ricarica.
Se la cosa funzionasse, un’intera economia sarebbe destinata a morire nel giro di qualche tempo: autofficine (le macchine elettriche hanno una manutenzione molto più basica), benzinai, trasporti di gasolio e settore petrolifero avrebbero i mesi contati, e a beneficiarne sarebbero i settori della ricerca scientifica, di chi fabbrica batterie e tutte le aziende legate all’energia green (con il riciclo si recupera fino al 90% dei materiali componeneti, anche se purtroppo del fondamentale cobalto si recupera a stento solo il 5%).
Ma tutto ciò è qualcosa di troppo logico ed efficiente per un paese come l’Italia, ormai abituato a restare sempre indietro.
E nel 2020 a che punto siamo arrivati? Com’è lo scenario, contando il deflagrante effetto Covid sull’economia globale?
La situazione è solo peggiorata, la pandemia ha fatto crollare al 6,4% le vendite da marzo a maggio, fino a gennaio aumentavano in Europa dell’80%, triste destino toccato ovviamente a tutto il comparto auto visti i flussi di denaro azzerati nelle tasche di moltissimi italiani.
Primo dei problemi, oltre all’imprevedibile Coronavirus, il prezzo di vendita fuori media (30-37000 euro), come nel 2018 il costo sia sostenibile solo per una nicchia della popolazione.
Ma come è possibile tutto ciò? È plateale l’emergenza polveri sottili, il problema ambientale causato da smog e traffico, dovrebbe essere ben chiaro anche sulle scrivanie dei ministri. Invece pare di no, pare che nonostante ci sia stata una pandemia che ha mostrato come in 3 mesi con molto meno inquinamento l’ambiente ne abbia giovato, si continui a sostenere la filiera dell’industria automobilistica nonostante nell’ultimo decreto rilancio ci siano finanziamenti fino a 6000 euro (4000 euro li sostiene il governo, 2000 euro sono a carico del concessionario) per il contributo decarbonizzazione. Pochi se si pensa che in Germania e Francia il governo ha stanziato 14000 euro la soglia di contributo.
C’è anche l’ecobonus al 110% per chi mette nel proprio garage o nei cortili condominiali la colonnina per la ricarica, malauguratamente in Italia le colonnine sono poco presenti per garantire viaggi e spostamenti in serenità.
Ma il fatto che scotta, che fa arrabbiare è che in Italia, alla fine l’elettrico è un tema scomodo, poco conveniente. Bisogna tutelare l’industria automobilistica tradizionale, il vento della riconversione, il vento di cambiamenti che vede principalmente la produzione di modelli elettrici e soprattutto di batterie (attuale monopolio della Cina che ha in concessione quasi il 90% dei giacimenti mondiali di cobalto e controlla anche il know how del processo industriale).
Per decollare questa attuale super nicchia di mercato ha quindi bisogno, come si diceva all’inizio, di una marcia in più: per decollare c’è bisogno in primis di crederci, di iniziare ad investire sulla ricerca e sviluppo del settore e produrre le batterie, pezzo chiave di questo segmento di mercato: la Commissione Ue nel 2019 ha stanziato 60 miliardi di investimento nella ricerca e nella produzione di batterie, perché un’auto elettrica senza batteria è come un’auto a benzina senza serbatoio.