di Gabriele Rizza
Ogni epoca ha i propri Totem e Tabù, alcuni Idoli soccombono, altri prendono il sopravvento. Tra i nuovi Idoli l’Erasmus piace così tanto che le sardine addirittura lo hanno proposto come progetto di scambio tra i giovani del sud e del nord, a modo di versione 2.0 e pacifista della Linea del Piave, dove, al fronte, il siciliano per la prima volta incontrava il lombardo.
Bellissima esperienza l’Erasmus, chi lo ha fatto lo farebbe altre cento volte, chi non lo ha fatto lo farebbe almeno una volta.
Può però un progetto universitario, tra l’altro non inventato dall’UE, ma di fatto esistente da prima e, nelle stesse modalità, possibile in molti altri paesi del mondo, diventare bandiera, vessillo e idolo identitario dell’Unione Europea?
Lo sentiamo dire spesso dalla Boldrini e dalla Bonino o da tutti i liberal di sinistra quando si tratta di incensare Bruxelles: L’UE ha garantito settant’anni di pace e permette ai nostri giovani di viaggiare e creare una mentalità europea e il futuro dell’Europa unita.
Retorica uguale e opposta ai porti chiusi e ai giovanotti con l’Iphone di Salvini. Sulla prima affermazione ormai la storiografia concorda sul fatto che la pace in Europa è stata garantita dalla Nato e che i primi passi verso la CEE furono imposti dagli Usa in cambio degli aiuti del Piano Marshall.
Più profonda e figlia dei nostri tempi la riflessione sull’Erasmus. Si pone l’accento sul concetto di esperienza, del vivere il presente come fattore identitario e come unico tempo tangibile, godibile e possibile. È di fatto l’epoca dell’io, dei diritti non più comunitari e sociali ma individuali. È la mentalità economica applicata alle relazioni umane. Soprattutto è ciò che l’Unione Europea di fatto è e che i maestri di europeismo vogliono che sia, caricando così l’Erasmus di contenuti che vanno aldilà del percorso di vita dei ragazzi, dei loro ricordi. Non nasce però mai nulla di buono quando si bada solo al dove si è e cosa si fa. Non si arriva da nessuna parte se non si è coscienti del da dove si viene.
L’Europa esiste prima dell’UE e così gli scambi, gli incontri e gli scontri, i viaggi e i resoconti. E quello che succede a Parigi, a Roma o Berlino cambia il continente più di chi in queste città ci va. Siamo più europei di quanto crediamo, senza bisogno di bandiere blu, colorate e unione bancaria.