“E dalle macchine per noi, i complimenti del playboy, ma non li sentiamo più se c’è chi non ce li fa più”.
Fiorella Mannoia
Essere una donna vuol dire aver sperimentato e subito, almeno una volta nella vita, sguardiviolenti e burberi appiccicarsi addosso, fischi, commenti inopportuni e molesti di uomini perstrada, uomini di tutte le età che si arrogano il diritto di poter violare una persona, riducendola ad oggetto deumanizzato nonché a parti di corpo che camminano e che possono essere guardate, apprezzate, scrutate con occhi malsani e indiscreti.
Sono occhi prepotenti e aggressivi, tutt’altro che spontanei e genuini, appartenenti a corteggiatori che fanno apprezzamenti e complimenti, sono vere e proprie violenze da non sminuire e minimizzare come troppo spesso avviene. E come tutte le violenze comportano dolore, sofferenza, umiliazione, disagio.
La donna, fin da piccola, è, pertanto, sottoposta a molestie perpetrate da sconosciuti senza che nessuno chieda il suo benestare. Si sente perseguitata e inseguita come una preda dinanzi al suo predatore e, il più delle volte, si sente persino in colpa per essere preda.
Come può accadere tutto questo senza allarmare?
Accade perché la società di cui facciamo parte non condanna ma incoraggia la culturadell’oltraggio e della prevaricazione di genere.
Si ritiene spesso che fare complimenti per strada sia una pratica antica e secolare a cui non bisogna certamente ribellarsi.
Ricevere complimenti mentre si è per strada, su un mezzo pubblico, alla stazione, fuori ad un bar o in qualsiasi altro luogo si tradurrebbe in orgoglio e piacere, il “piacere di piacere” edi essere perennemente ammirati.
Questo è il fare comune e ingenuo di chi non difende la libertà di ciascun essere umano e di chi difende, piuttosto, violenza e bullismo ai danni di chi, nella mente di molti, nasce per accettare ogni torto e affronto in un clima di resa, rinuncia e arrendevolezza.
Il confine tra la bellezza del corteggiamento e la becera molestia sembra essere sottile maè imponente nella sostanza. È violenza, difatti, ogni volta che non si concede il proprioconsenso mentre è corteggiamento ogni volta che due persone si desiderano e si cercano come in una danza magicamente potente e soave.
Il fenomeno del catcalling, anche definito “stranger harassment” o “pappagallismo” non puòe non deve essere considerato innocuo e inoffensivo, né tantomeno una forma dicorteggiamento intrigante e appagante.
È, piuttosto, una forma di violenza a sfondo sessuale che mette in evidenza la forza e la potenza di comportamenti pericolosi. Sono azioni che nascono dal desiderio di chi può permettersi di possedere chiunque, anche chi non vuole. Sono comportamenti cheposizionano la donna in una situazione di sgradevolezza, paura e insicurezza. Sono vere eproprie invasioni dello spazio personale di donne che si sentono calpestate, insultate, nonrispettate, svalutate, arrabbiate.
Mi preme qui sottolineare quanto purtroppo, e troppo spesso, siano le donne stesse a definire questo fenomeno come una sorta di carineria di cui andare fiere. Quanto appena detto è un dato inquietante perché, sebbene poco considerato, è un indicatore chiaro di quanto siamo immersi in una cultura discriminante e maltrattante, ove manca la chiara e salvifica consapevolezza di concetti significativi come il valore inviolabile di se stessi.
Le donne che non si accorgono delle violenze e delle brutture a cui sono quotidianamente sottoposte sono, in effetti, più e più volte vittime perché non sanno come difendersi da comportamenti lesivi e avversi contro la propria persona e incolumità, non immaginanoneppure che si possa fare.
Manca l’educazione alla non violenza, manca l’educazione al rispetto di se stessi e degli altri. Manca un’educazione chiara e trasparente mirata alla valorizzazione dei nostriragazzi, siano essi di sesso maschile o femminile.
Queste carenze educative, divenute oramai quasi dei vuoti incolmabili, comportano losviluppo alienante di un contesto socioculturale in cui è predominante l’oggettivazione deicorpi.
In quest’ordine contestuale, il catcalling è un fenomeno poco preso in considerazione, soprattutto in Italia ove non rappresenta un reato, ma che andrebbe invece affrontato e sviscerato profondamente in quanto è qui che si intersecano dinamiche individuali e relazionali fondamentali per una cultura e un’educazione alla non violenza. Le donne vittime di catcalling si ritrovano a fare i conti con effetti psicologici ragguardevoli, come ansia, depressione, paura dello stupro, disregolazione emotiva e mettono in atto comportamenti disfunzionali volti all’evitamento di posti, luoghi, strade. Si ritrovano acambiare il proprio modo di vestire, ad uscire accompagnate o a non uscire affatto in alcuni orari per paura di essere vittime di violenza e di molestie. Si tratta di modificazioni di sestesse in risposta a violenze sottovalutate e minimizzate ma proprio per questo,silenziosamente, dannose e dolorose.
Il catcalling richiama la nostra attenzione, l’attenzione di tutti, indistintamente, perché riguarda tutti. Si tratta di sradicare la violenza dalle sue basi, la stessa violenza che miete vittime quotidianamente. Una violenza subdola che passa inosservata, quasi acclamata,per le strade per poi spostarsi e prendere forme più imponenti nelle case poco sicure, luoghi temibili e spaventanti. La violenza e la prevaricazione di chi può permettersi di andare oltre senza preoccuparsi delle ferite cheinfligge, senza curarsi dell’altro perché gli hanno insegnato che può permettersi di farlo, anzi deve farlo per mostrare vigore e mascolinità a dispetto di chi passivamente si arrendeabbassando lo sguardo.
E invece, lo sguardo non va abbassato neppure per strada, dinanzi a molestatori sconosciuti. È qui che si inizia a mostrare assertività dichiarando, anche senza ricorrere alle parole, i propri diritti in maniera chiara, onesta e trasparente.
L’assertività può essere raggiunta e conquistata mediante una sana e consapevole educazione emotiva. È importante ancora una volta, per il bene di ciascuno e per nonarrivare tardi, come spesso accade, partire dalle basi per insegnare, formare e sensibilizzare.
Partiamo da qui, senza abbassare lo sguardo, senza rimanere brutalmente prede e predatori.
Dott.ssa Rosetta Cappelluccio
Psicologa Psicoterapeuta